Ancora a proposito di prezzi...

mercoledì 30 settembre 2009

Alla fine, ci si ritrova sempre a discutere di questo e le notizie pullulano ogni giorno, non stupendo ormai piu' nessuno. In mezzo a una crisi economica senza precedenti, appena un libro sbaraglia-concorrenza evidenzia un record di vendite, ecco che la prima casa editrice che capita ne approfitta a dovere. Ci si è ormai sempre proiettati , e preparati al peggio ma il vero problema è che il peggio non ha mai fine.




Ebbene, credo che in moltissimi abbiano letto la trilogia di Larsson (io solo il primo ma a giorni iniziero' il secondo, e ho apprezzato molto il lavoro di Larsson) e che quindi il prezzo se lo ricordino pure abbastanza bene: 21.50 euro. Ed è già un prezzo che ha un suo valore, certamente non indifferente, anzi gravoso sulle tasche del lettore. E infatti io ho avuto l'accortezza di acquistare tutti e tre i libri in un'occasione speciale, alla Libreria del Corso a Milano, che praticavano uno sconto del 30% su tutti i libri.

Ebbene, ora sbirciavo su webster.it, sito dove acquisto quando mi capita libri online, e andando su Larsson, anche perchè Linda, una corpicina fredda, mi ha messo un po' la pulce nell'orecchio, ho scoperto che son previste le ripubblicazioni dei tre libri ma...la sorpresa dove sta? Che i prezzi, per ciascun libro, son cresciuti di 4,50 euro. Non contenti del già prezzo elevato di 21.50 euro. Come dire...accontentarsi è un bene, approfittarne ancora di piu'. Ed ecco che anzichè diminuire, i prezzi dei libri vedono addirittura dei rincari. E qui c'e' da denunciare senza alcun problema, questa operazione al rialzo praticata da Marsilio. Forse un'occasione del genere non ricapiterà piu' a loro. Facendo due calcoli: se UOMINI CHE ODIANO LE DONNE piacerà, il guadagno dei tre libri acquistati frutterà a Marsilio 13,50 euro in piu' rispetto ad oggi. Se il lettore si fermerà a 2, 9 euro. Ad uno comunque 4,50 in piu' c'e' ed è un dato reale, di fatto. Le cifre sono da vertigini: un libro, non un saggio o un enciclopedia, tocca soglia 26 euro. Davvero incredibile. Marsilio. Follia. Marsilio. Segnamoci anche lei nella lista nera. E che non ci raccontassero palle del perchè alzano cosi' spudoratamente i prezzi.

Sempre su webster, per chi volesse la trilogia, fatelo subito, compratela completa, c'e' lo sconto del 25%. Anzichè 64,50 euro, la paghereste 48.38 con un risparmio di 16.12 euro. Con in piu' la spedizione gratuita.
Se le case editrici fanno i furbi con i lettori, che anche i lettori diventino furbi. Navigando in questa giungla del rincaro dei prezzi costante, mi ci son fatto le ossa. E ho imparato a risparmiare spendendo.
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[Speciale Minimum Fax] Intervista ad Ann Beattie

In Gelide scene d'inverno, hai scelto come protagonista un disilluso cronico. Apparentemente Charles sembra essere sconfitto da tutto: dalla madre malata di mente, dalla disperata mediocrità del suo patrigno, da tutte quelle persone che invadono la sua casa e la sua vita, cercando aiuto. Risponde sempre al telefono, ma con un atteggiamento svogliato e passivo, della serie: «Tanto non cambierà mai nulla, e niente mi può toccare veramente (tranne Laura)». Poi entra in scena Laura, la reale causa all'origine di questo stato d'animo, e improvvisamente Charles ritrova tutta la sua energia e la sua voglia di fare. È un modo per celebrare i benefici che si nascondono dietro le ossessioni?
In un certo senso, il personaggio di Charles si è evoluto mentre scrivevo il romanzo. Non avevo già un'idea prestabilita in partenza di quanto sarebbe stata forte la sua ossessione. Ma ho scoperto che quell'ossessione ne faceva un personaggio credibile, e che nel descriverlo avevo a disposizione un bel potenziale comico. Un personaggio con una fissazione è sempre interessante, per via del suo livello d'intensità, ma al tempo stesso una sfida: come si fa a evitare di essere noiosi nel presentarlo, se i suoi pensieri e le sue reazioni sono prevedibili? Bisogna anche considerare che il libro è stato scritto tanto tempo fa. Forse oggi Charles aprirebbe un blog.
L'inverno è generalmente considerata la stagione morta, o comunque la più silenziosa e stagnante; durante l'inverno, tutti aspettano la primavera, un po' come Sam nel romanzo aspetta il nuovo album di Dylan, che deve uscire da un momento all'altro, questione di giorni. Il fatto è che le stagioni sono cicliche, ma le età no; e quella di Dylan è la musica degli anni Sessanta, che sono passati e che, noi ora lo sappiamo, non sono più tornati. Volevo allora chiederti: che cosa aspettano i tuoi personaggi carichi di nostalgia durante il loro inverno?
Nel caso di Sam e Charles, c'è sicuramente una vena di romanticismo irrealistico (o esagerato) nel modo in cui guardano le cose della loro vita, combinato con un'eccessiva nostalgia. E sono un po' fuori dal mondo anche nella loro autoindulgenza. Ma io riesco comunque a immedesimarmi in loro: una parte di me vorrebbe che le cose fossero veramente così semplici come se le immaginano. Tutti e due sono anche molto bravi a creare problemi, sia a sé che agli altri. (In effetti è difficile scrivere di personaggi che non causano problemi.) Mentre scrivo, i personaggi cominciano a vivere di vita propria, e io non faccio altro che seguirli. Nel processo della scrittura c'è molto di ipotetico: se crei un personaggio che ha certi tratti del carattere particolarmente frustranti, come fai a presentarlo per quello che è, con la vita che ha (per quanto basata su una serie di false convinzioni), e al tempo stesso a fare un passo indietro e non giudicarlo?Io non credo che il mio romanzo sia particolarmente radicato in una certa generazione. Mi sembra che questo tema abbia molti precedenti letterari. Senza volermi mettere al loro stesso livello, penso al Don Chischiotte, alla ricerca del Graal, alle figure sull'urna greca di Keats.
Hai dichiarato che all'epoca in cui hai scritto Gelide scene stavi leggendo Beckett, e che speravi che qualcosa dei suoi dialoghi esilaranti e criptici fosse passato anche nelle tue pagine. E sicuramente così è stato, ma secondo me i tuoi dialoghi sono più realistici e autentici, e questo forse dipende dal modo diverso in cui utilizzi l'ironia. L'ironia è tradizionalmente lo strumento della distanza e dell'estraniamento, ma paradossalmente tu lo usi per creare personaggi che spingono il lettore all'identificazione. Come ci sei riuscita?
Questo è un complimento che accolgo volentieri, grazie. In effetti gran parte dell'ironia espressa dai personaggi, nonché delle situazioni ironiche in cui vengono a trovarsi, è un'ironia innocua, non cattiva.Forse la mia generazione amava tanto l'ironia perché il senso di disconnessione, sul piano sociale, era fortissimo. Voglio dire che l'ironia non era solo un atteggiamento personale: aveva a che fare con il nostro stupido intervento militare in Vietnam, per dire.
Quando ho scoperto che Gelide scene d'inverno era stato trasformato in un film, non sono rimasta sorpresa: me l'aspettavo, perché mentre lo leggevo mi veniva facilissimo immaginare i personaggi, i luoghi, il soufflé all'arancia di Laura, e Laura stessa... e questo senza che l'autrice mi fornisse molti dettagli specifici. Questo è uno dei motivi per cui la scrittura minimalista è così potente: il fatto che il lettore non può permettersi la pigrizia, deve essere in un certo modo attivo, partecipare alla storia. Secondo te esiste un rapporto privilegiato fra la scrittura minimalista, o i racconti in generale, e il cinema (penso, ad esempio, ad America oggi di Altman)?Penso che il cinema abbia sempre il vantaggio di catturare immediatamente lo spettatore, per il semplice fatto che è un mezzo visivo, e che noi tendiamo a credere a ciò che vediamo (o a ciò che crediano di vedere); e anche perché tutto, per la durata di una scena, avviene nel presente. Io scrivo spesso al presente, come se fossi una macchina da presa che riprende qualcosa. Ciò richiede al lettore di ammettere sia la propria impotenza che la propria importanza nel processo di comprensione. Lo scrittore assume l'atteggiamento di chi è solo una delle varie componenti del processo. La scrittura minimalista - non diversamente da tanti altri tipi di scrittura - lascia intendere fra le righe cose che integrano ciò che non è esplicito sulla pagina. A volte queste cose hanno il vantaggio di diventare estremamente reali, perché sono più vivide nella mente del lettore; sono presenti nel testo, ma non a parole, e quindi il lettore deve immaginarsele a modo suo. I lettori non mettono in discussione se stessi. Gli piace contestare l'autore, ma se scrivi in modo che siano loro a dover inserire certi dettagli, sono così sicuri di sé che crederanno sicuramente alla storia che racconti.
Secondo te, quali scrittori americani più giovani hanno seguito le orme del cosiddetto minimalismo? E che tipo di contributo hanno dato a questo stile? In realtà, la domanda che vorrei farti è più complessa. Viviamo in un'epoca caratterizzata da una sorta di immaginario massimalista: siamo saturi di immagini che trasformano anche gli elementi più remoti della realtà in qualcosa di familiare. Si può ancora praticare il realismo in un'epoca del genere, e se sì, quali temi può trattare?
Probabilmente questa non è la risposta che volevi, ma io penso che un aspetto molto importante della scrittura sia il tono, e che molti scrittori identificati come minimalisti in realtà usino il tono in maniera molto diversa. Sotto questo aspetto, io penso di non assomigliare per niente a Carver, e che Frederick Barthelme non assomigli minimamente a me, ecc. Quando il termine minimalismo è stato applicato alla pittura, non conteneva nessuna implicazione negativa; poi, intenzionalmente o no, quando il termine fu ripreso per applicarlo alla letteratura, tanti scrittori che avevano ben poco in comune si sono ritrovati infilati nello stesso shaker da barman e mescolati gli uni con gli altri: siamo rimasti molto confusi. Carver ha cambiato enormemente la short story americana. Ha trovato il tono giusto per la classe dei personaggi di cui parlava, e ha toccato la corda giusta: era quella che sentivamo da sempre in sottofondo. Ma uno dei segnali della grandezza di un artista è la bruttezza delle opere in cui si cerca di imitarlo. Un'imitazione di Carver la si riconosce subito. Secondo me molti scrittori di oggi si rifanno più alla sensibilità di Donald Barthelme che a quella di Carver. Un esempio molto evidente è George Saunders. Ma in un certo senso credo che anche la fascinazione di Lorrie Moore per il linguaggio in sé, i suoi giochi di parole, abbiano un antecedente in Barthelme.
All'inizio della prefazione all'edizione italiana di Gelide scene d'inverno dici una cosa molto intensa. Racconti che da giovane abitavi in una cittadina del New England e la finestra della tua stanza dava su una concessionaria di macchine usate, e guardandola ogni giorno ti sei resa conto che la scrittura era la tua unica possibilità di fuggire da quel posto. Poi il New Yorker ha rifiutato un gran numero dei tuoi racconti, prima di pubblicarne finalmente uno. Adesso che sei una scrittrice affermata, cosa consiglieresti a un giovane scrittore per aiutarlo a mantenere la concentrazione e la motivazione? E, come insegnante di scrittura creativa, non credi che l'insegnamento di una materia del genere possa diventare in qualche caso un ostacolo al processo creativo individuale?
Non è un modo per non rispondere alla domanda, ma davvero credo che a un vero scrittore - uno scrittore di talento che si impegna a restare in gioco - non ci sia bisogno di dire niente di particolare, se non offrirgli il normale incoraggiamento che serve a tutti. Il mondo letterario è cambiato completamente da quando ho cominciato io, perciò le mie opinioni, basate sulla mia esperienza, servono solo fino a un certo punto.Un aspetto in cui l'industria editoriale americana è cambiata forse in meglio è che oggi è possibile - anche se non certo facile - esordire con uno splendido libro di racconti (prendiamo Jhumpa Lahiri, ad esempio) senza dover pubblicare prima un romanzo. E poi, oggi a volte per un romanzo d'esordiosi si possono ricevere anticipi molto più alti che ai miei tempi (ma se poi quel libro non ha il successo sperato, è ancora più difficile pubblicare il secondo di quanto lo era una volta). Probabilmente a uno scrittore consiglierei semplicemente di scrivere, ma di non dimenticare di leggere.Quanto alla seconda domanda, anche a questa mi viene difficile rispondere, in parte perché io non ho mai propriamente studiato scrittura creativa, anche se ora presumo di insegnarla. Negli Stati Uniti ci sono corsi di specializzazione di questo tipo ovunque, e sono richiestissimi. Io ho visto studenti che scrivevano meglio una volta entrati nel corso dove insegno io, ma ne ho visti altri scrivere peggio. Resto convinta, comunque, che investire due anni della propria vita applicandosi seriamente alla scrittura aiuti qualunque scrittore, alla lunga, e gli dia un'idea più consapevole di cosa può essere una vita dedicata alla letteratura - non tanto nel senso di cosa si aspettano gli altri da loro, ma di cosa possono aspettarsi da se stessi.
In un'intervista, David Foster Wallace ha detto che questo è un buon momento per fare lo scrittore: «viviamo in un’epoca in cui abbiamo a disposizione una quantità enorme di puro intrattenimento, e bisogna capire come può la letteratura ricavarsi un suo spazio in un’epoca di questo tipo. È qualcosa di incredibilmente difficile, sconcertante e spaventoso, ma è un bel compito».Nella prefazione a Gelide scene invece, tu citi una maledizione cinese che consiste nell'augurare a una persona di vivere in tempi interessanti. Secondo te questa è un'epoca interessante (o bella) per fare lo scrittore? O pensi che sia più facile scrivere in un tempo più freddo, quando non succede niente di troppo traumatico e ci si può fermare a riflettere?
Chi è nato per fare lo scrittore scrive e basta, a prescindere dai consigli che gli si possano dare in senso contrario. Se mi guardo alle spalle, mi sembra che l'epoca in cui ho cominciato, gli anni Settanta, fosse, almeno per me, un momento molto migliore per scrivere. Non se ne faceva questo gran parlare: era ancora un'attività in qualche modo radicale: le distrazioni della fama riguardavano le rock star, non gli scrittori. Non appena una certa attività viene istituzionalizzata (e mi riferisco all'attenzione dei media, al parlottio su internet, non ai corsi di scrittura), quelli che la praticano sul serio devono correre a nascondersi.
Tu ci sei andata a Woodstock? Vorresti esserci stata?
No, non ci sono andata, e non rimpiango di non esserci stata!

Autore dell'intervista: Giulia Bussotti
Fonte: http://www.minimumfax.com/
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[Speciale] Gelide scene d'inverno - Biografia

Autrice di decine di racconti pubblicati sulle pagine del sofisticatissimo New Yorker, ma anche di romanzi best-seller da centinaia di migliaia di copie; selezionata fin dalla sua opera prima per la diffusione di massa tramite il Club degli Editori, ma anche consacrata dai critici e dalle grandi istituzioni culturali come una delle grandi maestre della letteratura contemporanea americana, Ann Beattie è veramente, come la definiva nel 1976 la recensione del New York Times al suo primo romanzo, “una scrittrice per ogni tipo di pubblico”: capace di unire l’accessibilità all’altissima qualità della scrittura. È sorprendente, dunque, che sia rimasta finora praticamente ignota ai lettori italiani (il suo unico romanzo tradotto nel nostro paese è stato pubblicato nel 1982, ed è da tempo fuori commercio).Ann Beattie nasce a Washington l’8 settembre del 1947, in una famiglia middle-class piuttosto conservatrice (il padre ha un impiego nell’amministrazione pubblica, la madre, dopo la nascita della figlia, smette di lavorare per dedicarsi esclusivamente alla vita domestica); trascorre un’adolescenza “normale”, piuttosto solitaria e noiosa, si diploma in inglese presso la American University di Washington nel 1969 e continua gli studi – senza particolari ambizioni – presso l’Università del Connecticut. Ha in progetto di diventare insegnante, e comincia a scrivere racconti per puro passatempo. Non frequenta nessun laboratorio o comunità di scrittori, ma trova un mentore nel critico e poeta J.D. O’Hara, professore presso la stessa università, che si offre di leggere i suoi manoscritti e darle consigli. È O’Hara a inviare, di sua spontanea iniziativa, alcuni racconti della Beattie al New Yorker: la giovane esordiente viene notata e incoraggiata dall’editor Roger Angell, ma le ci vorranno ventuno tentativi prima che un suo racconto venga pubblicato sulle pagine della rivista. È il 1972, Ann Beattie ha solo venticinque anni, ed è l’inizio di una luminosa carriera.Fra il 1973 e il 1976 rimane all’Università del Connecticut: prepara il dottorato e insegna alle matricole, ma di fatto tutte le sue energie sono investite nella scrittura. Nel 1976 escono contemporaneamente, per il grande editore newyorkese Doubleday, una raccolta di racconti, Distortions, e il romanzo Chilly Scenes of Winter. Il successo è immediato e fioccano i paragoni illustri, con Salinger, Cheever e Updike, ma la voce della Beattie appare da subito unica: la prosa cristallina e senza fronzoli, l’attenzione al dettaglio concreto e il rifiuto di ogni appesantimento psicologico o intellettuale, i dialoghi al tempo stesso realistici e stranianti nella loro vacuità (si nota l’influenza del teatro dell’assurdo beckettiano) sono gli strumenti con cui si raccontano le storie di giovani istruiti della East Coast che vivono il riflusso della controcultura degli anni Sessanta nella noia borghese dei Settanta: lavori d’ufficio, carriere ristagnanti, matrimoni malriusciti, vaga nostalgia, frustrazione, schiacciante passività. All’”azione”, alla trama romanzesca, si sostituiscono i puri gesti e le parole dei personaggi e l’ambiente umano e materiale in cui si muovono, specchio perfetto dei loro fallimenti e delle loro ossessioni.Dopo qualche anno trascorso presso l’Università della Virginia e quella di Harvard – durante questo periodo esce una seconda raccolta di racconti, Secrets and Surprises – la Beattie abbandona l’insegnamento e si lascia alle spalle il matrimonio con lo scrittore David Gates, che aveva sposato durante gli anni del dottorato; nel 1980 si trasferisce a New York. Abita a Manhattan, continua a pubblicare racconti sul New Yorker (dove per un certo periodo è addirittura l’autore di narrativa ospitato con più frequenza) e altre riviste, ma evita i salotti letterari, i pranzi con i recensori, la mondanità. Nel 1980 esce Falling in Place, scritto in tempi rapidissimi lavorando fino a diciotto ore al giorno: è un romanzo più ambizioso del precedente e meno “generazionale”, con una gamma più articolata di personaggi, che vanno da un pubblicitario quarantenne a suo figlio sulle soglie dell’adolescenza. La recensione del New York Times commenta così: “È come passare dalla tv in bianco e nero a un film a colori. [Questo romanzo] dimostra che Ann Beattie non è più una semplice autrice di nicchia o una giovane narratrice ‘interessante’, ma una scrittrice dal talento prodigioso in continuo sviluppo, che ha cominciato a diventare adulta”. Eppure, in un’intervista al New York Times del 1980, l’autrice confessa di sentirsi ancora “una pasticciona” quanto alla forma romanzo: prima di Falling in Place, ad esempio, aveva scritto ben 400 pagine che alla fine non hanno mai visto la luce. “Non mi ci vedo proprio a scrivere un altro romanzo”, dice. “Ma d’altronde, non mi ci vedevo neanche a scrivere questo!”La predilezione per la narrativa breve continuerà per tutta la sua carriera: “Non so spiegare come mai preferisco i racconti”, commenta in un’intervista alla rivista Folio nel 2006, “se non dicendo che, quelle poche volte che ottengo una prima stesura già molto buona, là per là la gratificazione è immensa: d’improvviso mi ritrovo per le mani una piccola cosa che prima non esisteva, con un inizio, un centro e una fine. Ma tuttora non riesco a leggere da cima a fondo tanti racconti considerati ‘classici’, quelli che si trovano nelle antologie scolastiche. Forse molti di noi scrivono proprio con l’intento di mettere al bando quelle antologie. Se pensate di sapere che cos’è un racconto, leggete Thom Jones, Joy Williams, Deborah Eisenberg, Lorrie Moore, Alice Munro, Richard Ford”. Il suo libro successivo è in effetti una raccolta di racconti, The Burning House, in cui la Beattie continua a presentare le storie dei personaggi che conosce meglio, ex hippie esistenzialmente alla deriva che alla libertà preferirebbero dei legami stabili e significativi. Scrive Margaret Atwood recensendo il romanzo per il New York Times: “Non ci sono più vincoli che legano [i personaggi] in maniera sicura e definitiva: impieghi, matrimoni, l’impegno richiesto dall’amore, perfino il ruolo di genitore o di figlio: tutto è in uno stato di flusso. E dunque tutto è provvisorio, va reinventato dall’oggi al domani, nessuno può dipendere da nessuno. Queste non sono storie di suspense, ma di sospensione”.Nel 1984 Ann Beattie lascia New York, infastidita dal ritmo frenetico della città, e si trasferisce a Charlottesville, in Virginia, dove conosce e sposa il pittore Lincoln Perry, insegnante alla locale università, con cui vive tutt’oggi fra Charlottesville, York (nel Maine) e Key West (in Florida). Nel 1985 pubblica Spectacles, un libro per ragazzi, e Love Always, un altro romanzo, scritto nella pace di una residenza estiva in Vermont. Basato sulle vicende di un gruppo di ex hippie trasformatisi in yuppie che lavorano presso una rivista alla moda, viene definito da Alice Hoffmann “il suo romanzo più comico fino a oggi, [ma in cui l’autrice] pone anche alcune domande molto serie sulla propria attivit88 artistica, all’interno di una struttura ironicamente modellata su quella delle soap opera”.Nel 1986 esce Where You’ll Find Me, una raccolta di racconti in cui la Beattie sembra distillare al massimo la sua scrittura secondo quelli che verranno considerati i canoni del “minimalismo”: solo due dei racconti superano le undici pagine. La rapidità di scrittura dei primi anni della carriera si attenua con il passare del tempo: Picturing Will, il successivo romanzo, vede la luce dopo una genesi durata tre anni. Con più di 100.000 copie vendute, è il suo maggiore successo commerciale. Incentrato sulle vicende di Will, un bambino di cinque anni abbandonato dal padre, e di sua madre, fotografa di matrimoni con ambizioni artistiche, il libro è più complesso dei precedenti sul piano stilistico e strutturale. Secondo T. Coraghessan Boyle “è il suo romanzo migliore dai tempi di Chilly Scenes of Winter; ha una profondità e un movimento che sono una rivelazione”.Seguono la raccolta di racconti What Was Mine, del 1991 (in cui l’autrice amplia il suo repertorio più consueto, grazie a un racconto ambientato in Europa, un esperimento di metafiction, due storie con voce narrante maschile), e due romanzi dalla storia travagliata. Il primo, Another You (1995), intreccia una tipica trama da campus novel – quella di una coppia di coniugi in crisi in una cittadina universitaria del New England – con gli stilemi del romanzo epistolare (la vicenda principale è intervallata da stralci di lettere che vi si riagganciano solo alla fine), e nasce da una prima versione di 350 pagine che la Beattie, insoddisfatta, non mostra a nessuno, scarta e riscrive integralmente, rischiando di far saltare i tempi previsti per la pubblicazione. Alla fine, si dichiara ancora una volta scettica sull’eventualità di dedicarsi in futuro alla forma romanzo. Ma vi ritorna nel 1997 con My Life, Starring Dara Falcon, la storia di una Madame Bovary dei nostri giorni che ricorda il suo rapporto giovanile di fascinazione/ repulsione nei confronti di una ragazza egocentrica e ribelle, la Dara Falcon del titolo. Il libro viene stroncato da una recensione di Michiko Kakutani sul New York Times, che suscita anche reazioni in senso contrario, ma di fatto lo condanna a un immeritato insuccesso editoriale.Viceversa, Park City, del 1998 (che contiene una selezione di racconti tratti dalle precedenti raccolte, più otto del tutto nuovi), consacra Ann Beattie come maestra della narrativa breve. “È un libro”, commenta Lorrie Moore, “che dovrebbe guadagnarle l’ammirazione degli autori e dei lettori di racconti di tutto il mondo, perché ci ricorda con forza l’incrollabile, appassionata, duratura e insuperata devozione di Ann Beattie a questa forma espressiva”.Nella successiva raccolta, Perfect Recall, del 2001, il minimalismo degli anni Ottanta viene ulteriormente superato: i racconti hanno un andamento disteso, un registro spesso elegiaco, sono più ricchi di eventi (a volte bizzarri) e di coloriture sentimentali. Nel 2001, dopo più di vent’anni, Ann Beattie torna all’insegnamento: ottiene una cattedra di scrittura creativa presso l’Università della Virginia a Charlottesville, incarico che continua tuttora a ricoprire. Ma l’attività accademica non ha ostacolato quella letteraria: nel 2002 è uscito il romanzo The Doctor’s House e nel 2005 la raccolta di racconti Follies, che ha ricevuto dalla stessa Kakutani un’accoglienza ben più favorevole: “Non è stato facile per Ann Beattie compiere la transizione dal suo stile degli esordi, largamente imitato (quello fatto di narrazioni ellittiche, prive di commento autoriale ma piene di dettagli contemporanei e brillanti schegge di dialogo), a un approccio più introspettivo e basato su trame ben strutturate. Fortunatamente, con Follies la Beattie ha ripreso il ritmo giusto, e ci dona alcune delle sue creazioni narrative più convincenti dall’inizio degli anni Novanta”. Sempre nel 2005, la Beattie collabora al volume Lincoln Perry’s Charlottesville, dedicato alla produzione pittorica del marito, in cui è autrice di un saggio introduttivo e di un’intervista allo stesso Perry. (Di arte si era occupata già nel 1987, scrivendo una monografia sul pittore Alex Katz accompagnata dalle riproduzioni di alcune sue opere.)Il 2005 è anche l’anno in cui vince il prestigioso Rea Award for the Short Story, l’ultimo di una serie di riconoscimenti che va dal premio letterario dell’American Academy of Arts and Letters (1980) al PEN/Malamud Award per la narrativa breve (2000). Ma probabilmente non l’ultimo della sua carriera, visto che la passione per la scrittura in lei non accenna a spegnersi: “Certo, i premi li accolgo con piacere”, dice in un’intervista del 2006 alla rivista Narrative, “ma non ne tengo neanche uno incorniciato alla parete. Quello che importa è scrivere il libro. Quello che importa sono le storie. Mi piace scrivere e mi piacciono i racconti. Mi piacciono proprio fisicamente. Mi piace vederli in forma di manoscritto. Mi piace tenerli in mano”.


A cura di Martina Testa

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E Dan Brown ricomincia (con Mondadori) a ladrare soldi...

E' obbligatoria una premessa, onde evitare che la considerazione della mia persona subisca cadute irreversibili: non intendo con questa pubblicazione sul mio blog rendermi complice di quel romanziere da quattro soldi (ma ahimè nelle sue tasche ne ha una valanga e il presente e il futuro ne promettono ancora di piu') che risponde al nome di Dan Brown. Alla notizia che esce (o è già uscito) il suo nuovo romanzo, IL SIMBOLO PERDUTO, si sono scatenate folle, deliri di ogni genere e varietà, ho accumulato un po' di sgomento. Beh, io un suo libro, in regalo, lo accetterei solo perchè mi serve un po' di carta per accendere il camino.

Ma, a parte questa mia considerazione, ovviamente negativa e stroncatrice a 360 gradi di questo scrittore assolutamente mediocre, incapace, presuntuoso, quello che vorrei sottolineare è questo. Il romanzo uscirà per Mondadori, capace come non mai di acquistare diritti di pubblicazione di tutti quei bestseller che io aborro, le cui vendite, enormi, mi risultano sempre uno dei maggiori misteri irrisolvibili della nostra società, e uscirà a un prezzo che veramente ha dell'assurdo e, oserei dire, inacettabile. 24 euro. Si, letto bene, 24 euro. Le quasi 48 mila delle vecchie lire. Uno schiaffo non solo alla miseria, ma anche alla passione della lettura, ai lettori (di cui non giudico assolutamente la scelta di un libro da leggere, di un genere, non mi permetterei mai). Questa è la famosa mobilitazione alla lettura? Questo è il tentativo di incrementare la lettura in Italia? Alla faccia oh.

24 euro per leggere cosa poi? Intrighi, complotti, azione all'americana, realtà cosi' improbabili da esserlo piu' anche dell'arrivo degli Ufo nei nostri giardini? No, me lo facciano capire. Cosa vendono? Un prodotto culturale di lusso? Un autore di fama mondiale indimenticabile, candidato al premio nobel per la letteratura o già vincitore del prestigiosissimo riconoscimento? Una qualità del libro di primissimo piano? Oppure vendono le classifiche di vendita?
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A proposito dell'arte di tradurre...

IL MESTIERE DI RIFLETTERE
Storie di traduttori e traduzioni

a cura di Chiara Manfrinato(con una postfazione di Marina Rullo)

Racconti di:Federica Aceto, Susanna Basso, Rossella Bernascone, Emanuela Bonacorsi, Rosaria Contestabile, Federica D’Alessio, Riccardo Duranti, Luca Fusari, Daniele A. Gewurz, Giuseppe Iacobaci, Eva Kampmann, Chiara Marmugi, Anna Mioni, Daniele Petruccioli, Laura Prandino, Anna Rusconi, Lisa Scarpa, Denise Silvestri, Andrea Sirotti, Paola Vallerga, Isabella Zani

“Traduttore, traditore” recita un vecchio adagio, un adagio ancora radicato – molto, forse troppo – nel sentire comune. Noi traduttori non ci sentiamo affatto traditori, però. Semmai traditi, delle volte.Apparentemente siamo i soli ad avere coscienza del fatto che dietro buona parte dei libri che fanno bella mostra di sé nelle vetrine e sugli scaffali delle librerie e che vengono sfogliati e divorati dai lettori ci siamo noi: noi con il nostro lavoro quotidiano, col nostro fare talvolta la guerra e talvolta l’amore con il romanzo di turno.Già, perché la nostra è una vita agrodolce, una vita segnata dall’invisibilità, condizione che a volte ci sta a pennello e altre volte ci sta un po’ stretta. Bene che ci vada, siamo un nome che fa capolino da un frontespizio.
A partire da un romanzo e quindi da un’esperienza di traduzione, alcuni tra i più brillanti e noti traduttori italiani ci raccontano storie di lavoro, di passione, ma anche – e soprattutto – di vita.

Qui, per una volta, gli autori sono i traduttori.

Approfondimenti: http://mestierediriflettere.wordpress.com/

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Quelli che ci fanno leggere Cechov e Marquez


E tutti gli autori, a volte di lingue remote, che non avremmo mai potuto avvicinare senza il lavoro dei traduttori. Che ci raccontanto qui come il loro lavoro sia complesso e creativo. E come richieda senso dell'avventura e coraggio

C’e’ chi, prima di mettersi al lavoro, legge interamente il libro da tradurre, e chi invece preferisce non farlo. C’e’ chi butta giu’ una versione iniziale stiracchiata per poi dedicarsi davvero alle revisioni, e chi invece dà tutto fin dalla prima stesura. C’e’ chi ha fatto una scuola di traduzione e chi ha coltivato solo la dura pratica. C’è chi guadagna di più e chi guadagna di meno, anche se generalmente nessuno guadagna abbastanza e sono pochissimi quelli che per vivere traducono e basta. Certo tutti sono dipendenti da internet, lavorano con ossessività maniacale e sgomitano in un mondo sempre piu’ affollato e complesso. Tanto che forse noi lettori dovremmo essere a loro molto più grati perché sfornano la lingua che leggiamo da tutto il mondo, s’imprimono nella nostra memoria con trovate sofferte pur di rendere l’originale, eppure di questi artigiani della parola difficilmente sappiamo anche il nome.
“Negli ultimi anni, il mestiere del traduttore è profondamente cambiato” racconta Bruno Osimo, 50 anni, traduttore dall’inglese e dal testo russo (anche di Cechov e Tolstoj), docente di Teoria della traduzione in vari atenei italiani. “Da una parte in meglio, perché l’apertura di scuole, master e corsi ha portato a maggiore professionalità. Dall’altra in peggio perché la sovrabbondanza di offerte - spesso a bassissimo prezzo – rischia di abbassare la qualità dei lavori. Del resto il lettore non ha né tempo né modo di sapere cosa gli è stato cucinato e se ci sono giovani che traducono gratis, è ovvio che l’editore possa puntare su loro senza calcolare troppo le conseguenze. In genere, comunque, cosi’ i compensi si abbassano”. Del resto, l’illusione che la carriera del traduttore sia facile e ricca di successi, è cresciuta proprio con il proliferare delle scuole: “C’e’ una generazione di laureati in lingue e lettere che ha rinunciato all’insegnamento, ha seguito corsi e master post-laurea nell’illusione che ci sia spazio” spiega Martina Testa, 34 anni, direttore editoriale di Minimum Fax e traduttrice dall’inglese fra le più richieste e prolifiche, “nessuno è stato avvertito del sovraffollamento. Cominciare è difficilissimo, ormai, ma se si ingrana con un primo lavoro, poi continuare non è cosi’ complicato. Si entra in un giro di raccomandazioni virtuoso. In fondo, non sono passati molti anni da quando tradurre è diventato veramente una professione riconosciuta”.
Sul riconoscimento della professione però si anima la battaglia dell’esercito di traduttori. “Con internet, indubbiamente, tutto è cambiato” spiega Anna Mioni (traduttrice dall’inglese e dallo spagnolo, tra cui Stephanie Meyer), 38 anni. “Si è arrivati a una democratizzazione del mestiere, le case editrici sono più accessibili, è più facile proporsi, la ricerca è semplificata, il contatto con i colleghi è immediato. Però proprio questo spinge a guardare l’altra faccia della medaglia. Oltre a paghe indubbiamente basse, non abbiamo previdenza né pensione, non siamo tutelati e solo da poco è stata aperta una sezione del sindacato nazionale scrittori dedicata espressamente ai traduttori”.
E’ fondamentale allora non fare una battaglia fra poveri, giocando al ribasso. “Anche per questo esiste
www.biblit.it, un forum dove noi traduttori ci incontriamo, ci aiutiamo e cerchiamo di mantenere un fronte comune”. Un fronte che trova sempre più numerosi consensi. Con libri che ne raccontano il lavoro (come Il mestiere di riflettere, Azimut, pp. 181, euro 12.50) e incontri di qualità, come le annuali Giornate della Traduzione Letteraria di Urbino. “Curiamo questa manifestazione” spiega Ilide Carmignani, straordinaria traduttrice dallo spagnolo (traduce tra gli altri Gabriel Garcia Marquez) “non solo per approfondire i problemi del mestiere ma anche perché c’è poco da esser contenti, qui da noi. Siamo ultimi in Europa, quanto a riconoscimento economico. Il problema è che il nostro Paese è un paese in cui si legge poco, in cui, come dice Tullio De Mauro, c’è un enorme analfabetismo di ritorno. I lettori veri, allora, sono pochi, e senza un pubblico che riconosca le traduzioni buone da quelle cattive è difficile rivalutare il mestiere”.
Il mestiere, comunque lo si valuti, è fatto di passione, fatica, reazioni meccaniche e slanci creativi, artigianato della parola e ore e ore di computer, rapporto con la realtà, con i colleghi e con gli autori. “Soprattutto con gli autori” dice Martina Testa. “Anche quelli apparentemente meno disponibili. David Foster Wallace, per esempio, di fronte ai miei dubbi e alle mie richieste di chiarimento, cominciava sempre dicendo che era inutile ogni sforzo di traduzione, impossibile. Poi pian piano cedeva, cominciava a spiegare e chiariva ogni dubbio con mille dettagli e alla fine era contento”.
Adelaide Cioni, 32 anni, (traduttrice a tempo pieno della letteratura americana e lo fa per Feltrinelli, Einaudi e Minimum fax tra le altre), conferma: “L’autore diventa come un amico e spesso,per essergli fedele, devi davvero tradirlo”. Perché tradurre, si sa, è un po’ tradire. Ma nell’arte del tradimento c’è chi eccelle in vista della fedeltà. E quello è il grande traduttore. “Mentre lavoravo su Adam Langer, per esempio” continua la Cioni “mi accorgevo che a tradurlo con apparente fedeltà ne veniva fuori un cretino. E invece è uno scrittore che stimo moltissimo. Ho cercato di immaginare come avrebbe scritto se fosse stato italiano. Mi pare ne sia rimasto contento”
Non basta però la cura del rapporto con lo scrittore. “Chi va tenuto a basa è spesso l’editor” dice Bruno Mazzoni, traduttore di punta dal romeno.” Tanto per dirne una, in Italia gli editor cercano costantemente di evitare ripetizioni. Ma in alcuni casi le ripetizioni sono necessarie e volute dall’autore come un parossistico tentativo di trasmettere ansia, tensione o altro. Allora bisogna mostrare i muscoli e far rispettare l’originale. Preside della facoltà di Lingue a Pisa, Mazzoni combatte anche la sua personale battaglia perché il lavoro del traduttore non sia snobbato dagli accademici. “Non tanto perché noi che traduciamo dal romeno siamo assai più pagati che altri. Il fatto è che c’e’ un atteggiamento quasi lobbistico che finisce per avere ricadute culturali. Io per esempio, traducendolo, sono riuscito a far conoscere in Italia un grande autore come Mircea Cartarescu”. Che l’Accademia non voglia sporcarsi le mani con un lavoro artigianale?.”Artigianato, si, di questo si tratta” racconta Adelaide Cioni. “Io lavoro sulle parole come su un pezzo di creta. Rielaboro, limo, risolvo. E a volte, quando sono stanca, ho bisogno di fare lo stesso artigianato, ma non più con le parole e allora vengo qui a riparare motorini ma soprattutto vespe. “Mostra l’officina storica di Vito e intanto si pulisce le mani. “Molti libri li porto qui e quando ho un problema mi metto al lavoro su un motore e ci penso insieme a Vito. E’ lui che mi ha aiutato più di tutti”.
Sotto una moto anni Sessanta l’uomo tira fuori la testa sporca di grasso e sorride.


Autore dell'articolo: Matteo Nucci
Fonte: Il Venerdi di Repubblica
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Nuages, galleria d'arte ma anche casa editrice

martedì 29 settembre 2009

La conoscenza dell'uomo è per natura limitata. Il suo "sapere" non potrà mai coprire ogni minimo spazio e questa limitatezza fisiologica e inevitabile porta l'individuo a perdersi cose, persone, spazi, momenti davvero importanti.
Per esempio, il sottoscritto, se non avesse saputo di un'iniziativa grazie alla quale venivano resi visibili dal vivo i lavori di Art Spiegelman a Milano, presso la galleria d'arte Nuages, non avrebbe scoperto: 1) questo meraviglioso posticino ricco, pregnante contenitore di cultura, passione e splendide iniziatve 2) la relativa casa editrice che si è impegnata a pubblicare opere di assoluta qualità.
Ad esempio, parlando di Nuages edizioni naturalmente, a me è saltato subito all'occhio la varietà delle proposte, di cui si son fatti fautori: troviamo, sul loro sito, un elenco di cio' che producono e pubblicano, dai cahiers, ai carnet de voyage, al fumetto, ai libri per bambini, ai cataloghi di alcuni grandi artisti, cataloghi fotografici, disegni e fotografie inerenti completamente il gatto, diversi libri/cataloghi fuori collana, e soprattutto i classici illustrati.
Questi soprattutto hanno attirato la mia attenzione il giorno in cui ho visitato Spiegelman e i suoi lavori.
Sono i classici della letteratura, distribuiti in volumi di grandissima qualità, dove la lettura anche per la disposizione del testo nella pagina, il carattere di scrittura e l'accompagnamento di immagini e disegni, rendono, qualora qualcuno ne avesse bisogno, la lettura di un classico un'operazione molto piu' facile e immediata di quanto si possa fare magari con un testo scritto in piccolo, a pagine schiacciate di parole per cui è complicato anche distinguere una riga dall'altra. Tra i diversi titoli, troviamo ad esempio IL MILIONE di Marco Polo, Il ritratto di Dorian Gray, l'ambitissima (tra i collezionisti) Divina Commedia, Memorie del sottosuolo, La Metamorfosi, Peter Pan, Pinocchio, i racconti di Poe, McBeth, I racconti di Pietroburgo, con illustrazioni di artisti come Hugo Pratt, Emanuele Luzzati, Roberto Perini, Jean Michel Folon, Andrea Rauch, Moebius, Milo Manara, Guido Crepax e altri. Insomma, una collana che serve il mercato degli amanti delle cose belle e eleganti, da custodire con estrema cura nella propria libreria.
Interessante anche il "reparto" bambini, con titoli come Il Brutto anatroccolo, Biancaneve, Hensel e Gretel, dove anche qui sono le illustrazioni a farne da padroni. Dei piccoli veri gioielli.
E c'e' anche una sezione dedicata a opere che hanno interamente come personaggio centrale, il gatto: Pussycat, Il libro condensato dei gatti tuttofare, Notte bianca, Sua maestà il gatto, Io gatta, lui super, L'anima del gatto. I titoli già esaltano il gatto, le illustrazioni lo celebrano e lo raccontano. Imperdibili. Per chi ama i gatti e anche per chi no. Tra gli autori presenti nei cataloghi, tra i tantissimi molto molto bravi, c'e' Franco Matticchio, che a me personalmente piace tantissimo. E una mezza idea di acquistarne un catalogo, dalla spesa chiaramente non eccessiva, l'ho avuta. Ma per ora non se ne fa niente. Attendiamo momenti migliori. Milano, come del resto tutta Italia, ha grandissime attenzioni per l'arte, la cultura. Sarebbe bene che questa intraprendenza, questa passione non sia fine a se stessa e che chi deve aiutare, anche economicamente, è bene che non si tiri indietro. Rivolto ai politici: basta sprechi di denaro e soldi destinati ad altro, finiti nelle proprie tasche. Apriamo gli occhi, c'e' un'infinità di cose da fare, promuovere, esporre, organizzare. Rendiamocene conto.

Per chi è interessato a capire che tipo di pubblicazioni fa: http://www.nuages.net/pubblicazioni.asp?quale=3&pagina=5

Per chi volesse sapere quali autori compongono la ricchezza di cui è in possesso Nauges: http://www.nuages.net/autori.asp

Per chi volesse essere tenuto aggiornato sulle mostre: http://www.nuages.net/mostre.asp

Per chi volesse farci un giro o anche semplicemente prendere contatti:

NUAGES

Via del Lauro 10,
20121,
Milano
Metro 1: Cairoli
Metro 2: Lanza
Tel: 02/72004482
E-mail:nuages@nuages.net
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Un premio per la memoria - da Lastampa.it

lunedì 28 settembre 2009

Il romanzo a fumetti di Paolo Cossi, Medz Yeghern, il Grande Male (edito in Italia da Hazard edizioni e in Belgio da Dargaud). è stato premiato il 17 settembre scorso dal Parlamento della comunità francese del Belgio con il premio Condorcet-Aron destinato a opere e persone che contribuiscono alla diffusione dei principi di uguglianza, fratellanza e libertà. Medz Yeghern, il Grande Male, è l’espressione con la quale gli armeni nel mondo designano oggi l’epoca dei massacri e delle deportazioni subiti dal loro popolo tra il 1914 e il 1916 da parte del governo e dell’esercito dell’Impero Ottomano. Quegli stessi eccidi che hanno portato lo scrittore turco premio Nonel Orham Pamuk di fronte a un tribunale del suo paese per aver osato parlarne nelle sue opere. In questo fumetto, Paolo Cossi racconta questa tragedia attarverso tre differnti spunti storici: Armin T. Wegner, il soldato tedesco che, a rischio della vita e contravvenendo agli ordini ricevuti, con i suoi reportage fotografici rivelò al mondo lo sterminio degli armeni; il tentativo di resistenza armena passato alla storia come “i quaranta giorni del Mussa Dagh”; il processo al sopravvissuto armeno Soghomon Tehlirian che, nel 1921, assassinò per vendetta a Berlino, Mehemet Talât pascià, ministro dell’interno dell’Impero ottomano dal 1913 al 1917, poi Gran Visir (1917- 1918), considerato tra i principali responsabili del genocidio e della deportazione degli armeni. Un’opera complessa realizzata dal (quasi) trentenne Paolo Cossi (è nato a Pordenone nel 1980), da sempre impegnato in opere diverse per tema e personaggi e tenute insieme dal suo talento di narratore per immagini e dal suo amore per la Storia e i suoi protagonisti. Nel 2002 pubblica per la casa editrice Biblioteca dell’immagine il romanzo a fumetti “Corona, l’uomo del bosco di Erto”, deidcato allo scrittore friulano a cui ha anche dedicato nel 2005 “Corona, la montagna come la vita” (Biblioteca dell’immagine). Nel 2003 pubblica la biorgrafia a fumetti “Tina Modotti” e nel 2004 vince il premio “Albertarelli” dell’ANAFI come miglior nuovo autore italiano. Nel 2005 escono due libri a fumetti per Becco giallo: Unabomber e Il terremoto del Friuli. Nel 2006 pubblica “La storia di Mara” (Lavieri), sulla terrorista Margherita Cagol, e nel 2007 “1918, destini d’ottobre” (De Bastiani). Attualemnte Cossi collabora alla rivista “ALP”, con fumetti brevi su sceneggiatura di Andrea Gobetti.È soprattutto la sua “diversità” rispetto al fumetto italiano industriale da edicola che ha fatto accettare l’italiano Cossi a un colosso come Dargaud, e risaltare in nel gigantesco panorama editoriale francofono, che ha dimenticato da un pezzo il proverbiale sciovinismo, nel quale è probabilmente destinato a rimanere insieme ad altri autori italiani (a parte Mattotti, anche Gipi, Igort, Vanna Vinci, Ponticelli, Matteo Alemanno solo per citarne alcuni) ormai parte integrante del panorama della bande desinnée.

Autore dell'articolo: Sergio Rossi


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Un nuovo HarryPotteriano (me) all'orizzonte...

domenica 27 settembre 2009

Entrero’ anch’io a sottoscrivere la tesserina del club. Quella dei lettori di Harry Potter. Che poi si potrà trasformare in qualcosa di piu’, per i fans di un certo tipo, è da vedersi piu’ in là non appena mi sarò fatto un po’ di “cultura” harrypotteriana. Sono stato fin qui riluttante all’idea di immergermi in questo nuovo mondo inventato da una penna creativa, innegabilmente di talento,, per un paio di ragioni: la prima è che non amo particolarmente leggere qualcosa che sia sulla cresta dell’onda in un tal momento, non mi appaga una lettura che so che è oggetto di una passione sfrenata del momento di gran parte della popolazione di lettori. Preferisco leggere qualcosa di cui non si parla ossessionatamente per strada, in televisione, su internet, mi sembra quasi che il momento della lettura, la cui riservatezza e individualità è sacra, sia in qualche modo svelata, aperta a tutti, condivisa con troppa gente. E dunque, penso che mi inoltrero’ nei meandri di questi mondi paralleli al nostro,solo tra qualche tempo quando un po’ l’onda dell’isteria planetaria si sarà appacificata. La seconda ragione, è dettata da una certa dose di pregiudizio, diciamocelo chiaramente, un po’ insita nel lettore medio. Tra l’altro il confine tra rispettabile scetticismo nei confronti di qualcosa e pregiudizio è talmente sottile che spesso ci si puo’ confondere. Il mio primo fantasy letto è uno di quelli che rischiano di influenzarne pesantemente l’excursus di letture successive, sempre del medesimo genere: IL SIGNORE DEGLI ANELLI, considerato un po’ il summa, il padre del genere fantasy. Ma è anche vero che, malgrado le inevitabili tracce prese da un modello di riferimento ben preciso e rielaborate personalmente aggiungendo qualcosa di nuovo e originale, ogni libro, specialmente se di fantasy si tratti, e soprattutto se è buono, porta con sé una propria nomea, una propria identità, un proprio viso da presentare al mondo, in questo caso dei lettori, e una propria nicchia sia di target sia di conseguenza di successo che ne legittimi l’esistenza. La creatività, lo dico sempre, non va soppesata né giudicata, né valutata troppo a fondo a un’analisi preliminare, le va dato semplicemente spazio e opportunità per presentarsi. Senza aver timore di cadere. Harry Potter, che ora sembra essere diventato il fantasy del nuovo secolo, avrà passato anche lei, come tutti del resto, un momento in cui risultava traballante l’esito di cosa ne sarebbe stato. Ma è inevitabile cio’. Un capolavoro o, nel caso di Harry Potter, una saga di cosi’ enorme seguito in ogni angolo visibile e nascosto del pianeta, non nasce mai capolavoro o bestseller. Si presenta, si tasta che grado di apprezzamento riceve e poi si inizia a vendere e a consacrarsi. Io leggendo IL SIGNORE DEGLI ANELLI, dovrei aver timore a leggere qualsiasi altro libro figlio, nipote, pronipote del capolavoro Tolkeniano. E infatti, un po’ di soggezione esiste, mista al timore d’ora in poi di leggere fantasy solamente di gran lunga inferiori alla trilogia dell’anello. Io ho deciso di lanciarmi, malgrado lo stordimento mediatico e popolare, non mi aiuta certamente ad avvicinarmi a un libro o a un film. Ho visto i film e non mi sono certamente dispiaciuti, anzi. Se poi girano voci insistenti, e a quanto pare di una certa credibilità proprio perché sono la gran parte orientate verso un certo tipo di giudizio, della qualità nettamente superiore dello scritto sul “recitato”, allora ecco che la mia curiosità ha iniziato a farsi strada con una certa prepotenza. Io che a un certo punto dissi: non lo leggero’ mai Harry Potter. Perché? Perché lo leggono tutti e viene paragonato, almeno in minima parte, al mio libro della vita, ovvero ISDA. Oltraggioso, scandaloso,calunnioso come si permettono questi? Mettendo da parte un po’ di eccessivo e rigido scetticismo e un po’ appoggiandomi alla mia dolce metà che si è convinta e ha convinto poi me di inoltrarci in questa nuova avventura a puntate, il cambio di rotta da parte mia è ormai pressochè ufficiale. Saga, avventura a puntate che, diciamocelo, è anche decisamente affascinante perché se un primo libro piace, vieni risucchiato e fatto personaggio tu stesso degli eventi e compagno di viaggio di chi in quel libro è apparso per volontà della scrittrice o dello scrittore, non vorresti poi che finisca piu’ .. E quando finisce, poi, un certo magone è inevitabile che ci sia. Quanta gente ho visto in lacrime per un'esperienza del genere vissuta sulla propria pelle. Quindi preparatevi che un nuovo, fino a poco tempo fa decisamente insospettabile, Harry Potteriano, sta per immatricolarsi. Sarò ben accetto nonostante abbia dato anche dello sfigato a Harry Potter e a della sfruttatrice commerciale alla Rowling? Sicuri? Posso davvero essere ben accetto senza pericolo e rischio di ritorsioni malavitose? Ok, allora mi presento, mi chiamo Matteo…
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Il gran rifiuto

sabato 26 settembre 2009

Titolo: Il gran rifiuto. Storie di autori e di libri rifiutati dagli editori
Autore: Mario Baudino
Editore: Passigli (collana Le occasioni)
Data di Pubblicazione: 2009
ISBN: 9788836811700
Dettagli: p. 134
Prezzo: 14 euro

Questo volume rappresenta una sorta di 'summa' dei più grandi errori editoriali, ripercorsi attraverso le vicende di libri e scrittori da una parte, editori e loro consulenti dall'altra. Non si pensi però a una semplice carrellata di rifiuti che dovevano poi diventare famosi non meno dei libri che ne erano stati l'oggetto, dalla Recherche di Proust, al Gattopardo di Tommasi di Lampedusa, e perfino a bestseller come Harry Potter o i romanzi di Tolkien. Queste storie possono infatti essere lette anche come strumento per capire le ragioni, o almeno il contesto, di rifiuti così clamorosi e persino imbarazzanti. Il mestiere dell'editore, del resto, è fatto innanzitutto di scelte, e le scelte sono fatte di esclusioni, non sempre così palesemente ingiuste come possono apparire agli occhi dei lettori. In ogni caso, sarà l'arrivo del successo di un'opera a fare tabula rasa di tutte le possibili ragioni di un rifiuto, insieme ai mea culpa dell'editore che se lo è visto sfuggire. Al di là dei suoi aspetti più curiosi e divertenti, questo libro, frutto di una ricerca tenace, appassionata e documentata, rappresenta così un'attenta analisi dei vizi e dei costumi dell'editoria, offrendo nel contempo un quadro inusuale, ma non per questo meno interessante, della nostra società culturale.
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Disegnare fumetti

Titolo: Disegnare fumetti
Autore: Mauro Antonini
Editore: Audino (collana Manuali di script)
Data di Pubblicazione: 2009
ISBN: 9788875270728
Dettagli: p. 156
Prezzo: 18 euro
Le storie dei fumetti, come ogni altra manifestazione dell'immaginario collettivo, non sono altro che narrazioni assolutamente reali che accadono in universi paralleli al nostro. Il disegnatore di fumetti - o cartoonist -, ha l'onere e l'onore di fungere da portale dimensionale "grafico" tra il mondo immaginario e il nostro e riportare su carta tutte quelle splendide avventure che altrimenti non potremmo mai vivere. Questo libro è dedicato a chiunque voglia diventare uno di loro, a tutti coloro che vorrebbero raccontare il loro personale spazio d'immaginario attraverso il disegno e sono alla ricerca del metodo per farlo, a chi vuole scoprire e imparare le fasi standard della realizzazione di un fumetto, quali strumenti usare, quali regole anatomiche e artistiche mettere, in opera, come comporre una vignetta, poi una tavola, poi una storia intera. Ed è scritto con loro, con i disegnatori di fumetti veri e propri, che riportano le loro testimonianze, danno i loro pareri, svelano i trucchi del loro mestiere e le caratteristiche della loro arte. Nello specifico le interviste che troverete nel testo sono state concesse da artisti affermati, attivi e applauditi in Italia come all'estero, quali: Gabriele Dell'Otto (Spider-Man, X-Men), Carmine Di Giandomenico (Dylan Dog, Daredevil), Elisabetta Melaranci (Disney Princess, W.I.T.C.H.), Werther Dell'Edera (Loveless, Punisher), Roberto Recchioni (John Doe, Garrett) e Giacomo Bevilacqua (Homo Homini Lupus, A Panda piace).
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Saramago: non basta una risata per sconfiggerlo

venerdì 25 settembre 2009

Il testo che pubblichiamo è tratto da "Il Quaderno" di Josè Saramago, in uscita da Bollati Boringhieri, con la prefazione di Umberto Eco. Il libro del Nobel per la letteratura, è una specie di diario di letture,suggestioni, ricordi, riversati nel blog. "L'Espresso" ha scelto le pagine riguardanti Silvio Berlusconi, e che hanno fatto si che il libro sia stato rifiutato dal suo storico editore, Einaudi, controllato dalla Mondadori.

Berlusconi and company

Secondo la rivista nordamericana "Forbes", il gotha della ricchezza mondiale, la fortuna di Berlusconi ascenderebbe a quasi 10 mila milioni di dollari. Onoratamente guadagnati, è chiaro, sebbene con non pochi aiuti esterni, come ad esempio il mio. Essendo io pubblicato in Italia da Einaudi, proprietà del detto Berlusconi, qualche soldo glielo avro' fatto guadagnare. Un'infima goccia d'acqua nell'oceano, ovviamente, ma che gli sarà servita almeno per pagarsi i sigari, ammettendo che la corruzione non sia il uo unico vizio. Salvo quel che è di comune dominio, so pochissimo di vita e miracoli di Silvio Berlusconi, il Cavaliere. Molto piu' di me ne saprà sicuramente il popolo italiano, che una, due, tre volte lo hanno insediato sulla poltrona di Primo Ministro. Ebbene, come di solito si sente dire, i popoli sono sovrani, ma anche saggi e prudenti, soprattutto da quando il continuo esercizio della domocrazia ha fornito ai cittadini alcune nozioni utili a capire come funziona la politica e quali sono i diversi modi per ottenere il potere. Cio' significa che il popolo sa molto bene quel ch vuole quando è chiamato a votre. Nel caso concreto del popolo italiano - perchè è di esso che stiamo parlando, e non di un altro (ci arriveremo) - è dimostrato come l'inclinazione sentimentale che prova per Berlusconi, tre volte manifestata, sia indifferete a qualsiasi considerazione di ordine morale. In effetti, nel Paese della mafia e della camorra, che importanza potrà mai avere il fatto provato che il primo ministro sia un delinquente? In un paese in cui la giustizia non ha mai goduto di buona reputazione, che cosa cambia se il primo ministro fa approvare leggi a misura dei suoi interessi, tutelandosi contro qualsiasi tentativo di punizione dei suoi eccessi e abusi di autorità? Eca de Queiroz diceva che, se facessimo circolare una bella risata intorno a una istituzione, essa crollerebbe, ridotta in pezzi. Questo, un tempo. Che diremo del recente divieto, emesso da Berlusconi, alla proiezione del film "W" di Oliver Stone? Fin li sono arrivati i poteri del Cavaliere? Come è possibile che si sia commesso un tale arbitrio, sapendo per di piu' che, per quante risate ci potessimo fare intorno ai Quirinali, questi non cadrebbero?Giusta è la nostra indignazione, pur dovendo compiere uno sforzo per capire la complessità del cuore umano. "W" è un film che attacca Bush, e Berlusconi, uomo di cuore ome puo' esserlo un capo mafia, è amico, collega, fautore dell'ancora presidente degli Stati Uniti. Sono fatti l'uno per l'altro. Quel che non sarà ben fatto è che il popolo italiano accosti a una quarta volta alle natiche di Berlusconi la sedia del potere. Non ci sarà, allora, risata che ci salvi.

Che fare con gli italiani?

Riconosco che la domanda potrà sembrare alquanto offensiva a un orecchio delicato. Ma che succede? un semplice privato che interpella un intero popolo, che gli chiede il conto per l'uso di un voto che, con sommo gaudio di una maggioranza di destra sempre piu' insolente, ha finio per fare di Berlusconi il padrone e signore assoluto dell'Italia e della coscienza di milioni di italiani? Anche se in verità, voglio dirlo subito, il piu' offeso sono io. Si, proprio io. Offeso nel mio amore per l'Italia, per la cultura italiana, per la storia italiana, offeso, anche, nella mia pertinace speranza che l'incubo abbia fine e che l'Italia possa recuperare l'esaltante spirito verdian che è stato, un tempo, la sua migliore definizione. E che non mi si accusi di star mescolando gratuitamente musica e politica, qualunque italiano colto e onorato sa che ho ragione e perchè. E' appena giunta notizia delle dimissioni di Walter Veltroni. Ben vengano, il suo Partito democratico è cominciato come una caricatura di partito ed è finito, senza parole nè progetti, come un convitato di pietra sulla scena politica. (...)Veltroni è responsabile, certo non l'unico, ma nell'attuale congiuntura, il maggiore, dell'indebolimento di una sinistra di cui era arrivato a proporsi come salvatore. Pace all'anima sua.

La democrazia in crisi

L'eminente statalista italiano che ha nome Silvio Berlusconi ha appena partorito nel suo privilegiato cervello un'idea che lo colloca definitivamente alla testa del gruppo dei grandi pensatori politici. Egli vuole, per ovviare ai lunghi, monotoni e lenti dibattiti, sveltire le procedure parlamentari alla camera e al senato, che siano i capigruppo a esercitare il potere di rappresentanza, liberandosi al contempo del peso morto di deputati e senatori che, nella maggior parte dei casi, non aprono bocca se non per sbadigliare. A me, devo riconoscerlo, pare una buona cosa. I rappresentanti dei maggiori partiti, tre o quattro diciamo, si riunirebbero in un tassi alla volta di un ristorante dove, attorno a un buon pasto, prenderebbero le decisioni. Li seguirebbero, ma in bici, i rappresentati dei partiti minori, che mangerebbero al bancone, nel caso ci fosse, o in una tavola calda nei paraggi. Niente di piu' democratico. (...)Mi si dirà che questo Cavaliere non è da prendere sul serio. Si, ma il pericolo è che si finisca per non prendere sul serio quelli che lo eleggono.

Fonte: L'espresso
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The Time Traveler’s Wife

giovedì 24 settembre 2009

Un'altra cosa di cui non riesco a farmene una ragione, è la capacità inimitabile in Italia di inventarsi dei titoli dei film inqualificabili da quanto fanno ribrezzo. Uno degli svariati casi, tanti, è quello che riguarda l'ormai prossima uscita di UN'AMORE ALL'IMPROVVISO, nelle sale il 2 ottobre, film tratto dal libro di Audrey Niffenegger LA MOGLIE DELL'UOMO CHE VIAGGIAVA NEL TEMPO.Noi italiani, anche in questo, cerchiamo sempre di complicarci la vita, quando basterebbe lasciare le cose come stanno: c'e' un titolo in inglese, tradotto in italiano per il libro, che è bellissimo e aderente alla storia. Ora mi devono spiegare cosa c'entri UN AMORE ALL'IMPROVVISO con la storia. Sembra il titolo di un film alla De Sica e Boldi. E inorridisco.
Clare (Rachel McAdams) è innamorata di Henry (Eric Bana) ma la loro è una storia d’amore un po’ strana: lui viaggia nel tempo! A causa di un’anomalia genetica, Henry salta avanti e indietro nel tempo, all’improvviso, con conseguenze inimmaginabili.
La regia è stata affidata a Robert Schwenkte.






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La domanda del giorno

mercoledì 23 settembre 2009

Passeggiando nella Libreria del Corso, che anche oggi dava il 30% su tutti i libri, per la prima volta non sono stato indotto freneticamente all'acquisto compulsivo. E mi sono chiesto (spaventandomi): perchè acquistare col solo 30% in meno quando posso farlo col 50% al Libraccio?

E io che continuo a scrivere e denunciare le chiusure delle piccole librerie storiche...
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La libreria del cinema


Esistono ancora (ha del clamoroso!) librerie di nicchia e specializzate, in questo mondo in cui non importa se sei bravo, appassionato, intraprendente (serve ma non basta) ma solo se sei grande, potente ed economicamente sostenuto, in grado di dettar legge sul mercato. Oggi passando in macchina per caso, per i Bastioni di Porta Nuova, ho addocchiato questo cinema old-style (quando non comparvero le multisala odierne), al cui interno è presente anche una libreria assai rifornita principalmente sul cinema ma non solo.
Prendo le testuali parole dal sito della libreria:

Baldini & Castoldi, Zelig Editore e Anteo Service, curano la gestione della libreria di AnteospazioCinema, completamente rinnovata e ampliata nel settembre del 1997.
Nei 90 metri quadrati della libreria trovano posto non solo i libri di cinema, ma tutte le novità del mercato editoriale italiano e straniero.Il nuovo punto vendita rappresenta la prima libreria italiana che ha disponibile l’intero catalogo di Baldini & Castoldi e Zelig Editore. Ma ci sono anche colonne sonore, film in vhs e dvd, manifesti e locandine cinematografiche ...

Per chi ama il cinema, questa sembrerebbe una tappa obbligatoria, anche facilmente raggiungibile con mezzi di trasporto molto comodi e immediati. Che dite, un salto presto lo faro'?

Indirizzo: Via Milazzo 9
Fermata metro: Moscova e Garibaldi
Tel: 02/6597732

ORARIO:
10,00-13,00
14,30-22,30
CHIUSURA LUNEDI' MARTEDI' SABATO MATTINA

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Cose da cancellare: le copertine con le immagini tratte dai film




Guardate prima la prima immagine a sinistra, e ora spostate la vostra attenzione a destra. Trovate la differenza. Già, se non fosse per il logo che indica la casa editrice, la Corbaccio, non esisterebbe alcunissima differenza tra la locandina cinematografica e la copertina del libro. Io mi domando, come una casa editrice seria come Corbaccio, possa abbassarsi a tale livello. Io ho sempre odiato nel profondo le copertine create con un comodissimo ed economico (ma assai poso edificante e creativo) copia e incolla. Mi piacerebbe sapere il perchè a questo punto di queste scelte (perchè ci saranno dei motivi), che parecchi altri libri e altre case editrici, hanno deciso di adottare. Di certo, l'effetto che fa sul lettore , almeno parlando per me, è quello di allontanarmi dal libro anche prima di capire di cosa si tratti. Il marketing cosi' mi crea fastidio, mi fa venire un prurito di nervi,e sempre a livello personale non agevola l'interesse a una lettura. Anzi. Ma pensano davvero facendo cosi' di creare piu' appeal al libro? Non sembra declassare un po' il libro, facendolo passare come un qualcosa da leggere perchè il film lo ha legittimato e "deciso" in questo senso? Non si rischia di far diventare la lettura una questione di "moda", del tipo, leggo quel libro perchè lo han letto tutti? Il cinema mi ha permesso di scoprire diversi libri, ma è un mio parere sempre piu' convinto, è il libro che crea il film, non viceversa. Ed è pericoloso far credere il contrario (come accade proprio nella scelta di certe copertine o la pubblicazione o ripubblicazione dei libri solo in virtu' del fatto che un regista ne inscena la trasposizione cinematografica).


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Film letterari, un 2009 buono e nel 2010...

I film tratti dai film, si sa, sono sempre al centro di un'attenzione minuziosa e assai scrupolosa, anche maniacale e inflessibile, da parte dei lettori, soprattutto quelli che hanno una certa passione anche per il grande schermo. Al film viene fatta una vera e propria autopsia e al quale non viene perdonato nulla: tagli di scene (anche quelle marginali), scelta degli attori che devono interpretare determinati personaggi, location scelta, regista, sceneggiatura. Va detto che un film non potrà mettere in scena ogni singola scena presente nel libro, altrimenti durerebbe 5-6 ore, ma va anche detto che determinate scelte di taglio (e di conseguenza spesso di reinterpretazione del film) sono assai discutibili e mi sento vicino agli spettatori-lettori che si inalberano, prendendole come delle vere e proprie offese personali. C'e' chi legge prima il libro e poi va al cinema, chi opta per la soluzione al contrario. Sta di fatto che sono rari i film che risultano migliori o di pari livello al libro da cui sono tratti. Problema di tempo, spazio cinematografico o di attenzione e scrupolo? E' difficile dirlo a livello cosi' generale, andrebbe analizzato film per film per farsi un'idea completa, che non tralasci nulla.

Il 2009 è stato un anno abbastanza prolifico, sorto con il botto di Revolutionary Road, film voluto a ogni costo da Kate Winslet dopo aver letto il libro di Richard Yates da cui è stata tratta la pellicola. Un film che ha fatto successo, ma non agli Oscar dove gli sono stati preferiti, incomprensibilmente, altri lungometraggi. Il 2009 si chiuderà con A CHRISTMAS CAROL, con Jim Carry, tratto da IL CANTO DI NATALE Dickensiano. In Italia lo vedremo a partire dal 3 dicembre. Dopodichè tutti schierati nell'attesa di vedere uscire in fine inverno-primavera il gotico Alice nel paese delle meraviglie del celeberrimo trio Burton-Depp-Carter. Attessissimo. Nel mezzo abbiamo assistito a buone trasposizioni e a delusioni. L'immancabile Harry Potter e il Principe Mezzosangue ha catturato la visione di tantissimi fans accaniti e non.Tra le chicche del 2009 da segnalare c'e' sicuramente lo splendido CORALINE, tratto dal romanzo di Neil Gaiman, alla cui regia è andato Henry Selick, che guarda caso è stato anche un collaboratore stretto, e di primissimo piano, di quel NIGHTMARE BEFORE CHRISTMAS di Burton che ancora oggi domina le preferenze dell'animazione di moltissimi spettatori. Ottimo successo ha riscosso anche UOMINI CHE ODIANO LE DONNE, tratto dal bestseller del defunto Stieg Larsson, e mi pare che seppure con qualche ritoccatina rispetto al libro,il film si è reso addirittura, se possibile, ancora piu' piacevole. E ormai a giorni, anzi a ore, uscirà il seguito, LA RAGAZZA CHE GIOCAVA CON IL FUOCO, anch'esso molto atteso vista l'enorme successo di vendite della trilogia Larssoniana. Dopo il bel film del primo libro di Stephany Meyer, TWILIGHT, per la felicità dell'enorme schiera di seguaci di Edward e Bella, il 20 novembre uscirà nelle sale il sequel, NEW MOON, che è stato al centro di un caso che ha creato qualche imbarazzo, ovvero il fatto che doveva essere girato a Volterra ma è stato deciso di trasferire la location a Montepulciano. In America esce a dicembre ma in Italia solamente a fine gennaio, ma è già trepidante attesa per AMABILI RESTI tratto dallo splendido libro di Alice Sebold, che vede il ritorno alla regia dell'indimenticabile regista de IL SIGNORE DEGLI ANELLI Peter Jackson, impegnato tra le altre cose anche nel progetto LO HOBBIT, che secondo le previsioni attuali dovrebbe apparire al grande pubblico nel 2011 e nel 2012. Altro caso di un bestseller che ha sbancato il casino' delle vendite, è stato L'ELEGANZA DEL RICCIO di Muriel Barbery, regia di Mona Achache, uscirà i primi giorni del nuovo anno, piu' precisamente nella vigilia dell'Epifania. Sarà preventivabile un'incasso notevole, vista la sfilza di lettori e lettrici che hanno amato questo particolare ed estroso romanzo.
Da ricordare anche la prossima uscita nelle sale (23 ottobre) di Dorian Gray, alla regia di Oliver Parker, già alla guida di altri film tratti dai romanzi come L'Importanza di chiamarsi Ernesto e Othello. Con ottimi risultati, soprattutto riguardo al primo.

E infine, ma anche questo lo vedremo nel 2010, intorno al 19 febbraio, SHUTTER ISLAND, di Martin Scorsese, ripreso da "L'ISOLA DELLA PAURA" dello scrittore thriller Denis Lehane, di cui gli esperti thrillorogi dicono un gran bene.

E chissà quando uscirà, dopo annunci e posticipazioni varie, Blindness Cecità tratto dal meraviglioso romanzo di Josè Saramago. La data di uscita era prevista per agosto 2008 ma ancora non si hanno tracce del film in Italia.

Cinema e letteratura, come viene dimostrato ogni anno, corrono sempre piu' a braccetto, con il secondo, in realtà, ad attingere piu' dal primo. Ma è inevitabile. Ma anche la letteratura, in un certo senso, avverte dei vantaggi, non ultimo quello della trasformazione delle parole in immagini, che è un'operazione rischiosa ma innegabilmente affascinante, che porta certamente dei ritorni anche agli autori dei libri, che assaggiano molto da vicino anche l'esperienza cinematografica, diventando sceneggiatori, a mio avviso lavoro piu' impegnativo rispetto a quello di scrittore di romanzi.
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martedì 22 settembre 2009



  • Questo libro, finora inedito in Italia, ha segnato nel 1990 l'esordio di A.L. Kennedy, conquistandole due fra i più prestigiosi premi letterari britannici (il John Llewellyn Rhys Prize e il Saltire Award) e annunciandola come una delle voci migliori della narrativa inglese contemporanea.Il terreno su cui si muovono i racconti della Kennedy è quello, solo apparentemente ordinario, dei rapporti fra uomini e donne: il suo talento è quello di donare ai dettagli più quotidiani - gli sguardi, i silenzi, gli odori, l' andirivieni dei treni attorno alla città, la «geometria notturna» dei corpi su un letto - un'intensità emotiva capace di illuminare e scuotere fin nel profondo i personaggi, e con loro il lettore stesso. La sua scrittura non teme le zone oscure della violenza familiare né quelle calde della sensualità, ma è anche pervasa di un umorismo e un' intelligenza che ne rendono godibile ogni pagina.Questo libro è la perfetta introduzione all'autrice per i lettori che ancora non la conoscono, e l'ennesima conferma del suo talento per chi già la ama.

    http://www.minimumfax.com/


    Collana: I sotterranei
  • Pagine: 186
  • Prezzo: 13 euro
  • Se comprato sul sito, 10% di sconto
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L'acquisto compulsivo nuoce gravemente alla salute, io ne ho le prove

Lo dico sempre: abitare in una città in cui le tentazioni pullulano e sbucano quasi anche da sotto il letto di casa propria, è certamente manna che arriva dal cielo e che stimola l'attività (anche spendareccia) del lettore. Ma queste tentazioni hanno anche un aspetto, si fa per dire negativo: non si finisce piu' di spendere soldi e accumulare libri su libri in arretrato. Tra un po' con i libri in arretrato da leggere posso costruirmi un monolocale.

Nome della vittima: me medesimo (come direbbe Giacomo del trio piu' divertente d'Italia)
Nome dell'assassino: fortemente indiziato Il
Libraccio
Prova schiacciante: lo scontrino
Alibi: Il Libraccio deve vendere, è un atto di legittima difesa contro gli attacchi dei superstore librari e poi vende a fin di bene del lettore: sconti a go-go.
Pronunciamento della corte del Libro: legittima difesa, il Libraccio potrà continuare a vendere liberamente, consideriamo il fatto come ennesimo tentato suicidio del lettore in questione, a cui intimiamo di non spendere piu' un euro in libri per due anni e mezzo, se necessario sono previsti gli arresti domiciliari come misura cautelativa.
Appena varco il confine monzese e mi immergo nella metropoli milanese, cominciano i guai. Che sia un impegno universitario urgente, come oggi, che sia un incontro con amici, che sia qualsiasi altra cosa (anche una gita apposita per librerie), un passaggio al libraccio è obbligatorio. Se poi si pensa che oggi ne ho girati addirittura due, ecco che si spiega il mio tentativo suicida. Ma buttarsi nel naviglio che è piu' sporco e inquinato delle fogne no? voi mi direte...Ebbene, ci sto pensando, ovviamente mi butterei insieme ai miei prossimi acquisti librari al Libraccio.

Oggi ho preso:

L'analista - John Katzenbach alla modica cifra di 4,70, al Libraccio di Via Corsico.
Figlio della guerra - Emmanuel Jal a 5 euro anzichè 10.

Non contento e pago (anzi, eccome se pago), come detto, siccome supergulp, fumetto shop, era chiuso, ho deciso di investire l'euro di biglietto per investire successivamente in altri tesori.
Al Libraccio di Via Vittorio Veneto ho acquistato:

Sono figlia dell'Olocausto - Eisenstein per 8 euro
Palestina - Joe Sacco a 8 euro

E dire che mi sarei preso, in Via Corsico, anche un 3-4 libri sulla Shoah. Per fortuna, in quel momento, una luce divina mi ha baciato consigliandomi vivamente di lasciar perdere. Questi sono i veri miracoli!!!




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Schulz a Mantova: un'esperienza da raccontare

lunedì 21 settembre 2009


Se poesia vuol dire capacità di portare tenerezza, pietà, cattiveria a momenti
di estrema trasparenza, come se vi passasse attraverso una luce e non si sapesse
più di che pasta sian fatte le cose, allora Schulz è un poeta


Umberto Eco parla cosi' di Schulz e dei suoi lavori che hanno appassionato milioni di lettori in tutto il mondo, di tutte le età e di diverse generazioni. Padre dei Peanuts, di Snoopy, di Charlie Brown, quello che mi ha colpito di lui è stata senza dubbio la passione per quello che faceva, una passione che ha se vogliamo reso difficile i suoi rapporti piu' stretti, arrivando a dichiararsi un pessimo marito. Ha dedicato la sua vita a un foglio, a una matita e a un'incredibile talento nel trasmettere emozioni e sentimenti mescolati a una grande ironia. Ironia della sorte, e quando all'Ariston a Mantova, dove sono andato a vedere uno speciale su di lui ci sono rimasto e parecchio, è morto il giorno prima in cui veniva pubblicata la sua ultima striscia. Destino che mi ha lasciato un groppo in gola niente male. La sua ultima striscia che ha lasciato parlare cosi' Snoopy:




Cari amici,
ho avuto la fortuna di disegnare Charlie Brown e i suoi amici per quasi cinquant'anni. È stata la realizzazione del sogno che avevo fin da bambino. Purtroppo, però, ora non sono più in grado di mantenere il ritmo di lavoro richiesto da una striscia quotidiana. La mia famiglia non desidera che i Peanuts siano disegnati da qualcun altro, quindi annuncio il mio ritiro dall'attività.
Sono grato per la lealtà dei miei collaboratori e per la meravigliosa amicizia e l'affetto espressi dai lettori della mia "striscia" in tutti questi anni. Charlie Brown, Snoopy, Linus, Lucy... non potrò mai dimenticarli...
Charles Schulz

Brividi che mi hanno toccato indistintamente un po' tutto il corpo. La sua prima striscia nel 1947, l'ultima nel 1999, a 77 anni. Una vita dedicata alle sue creature. A cui ha dato e tolto la vita, nel momento in cui colpito da un cancro che lo ha colpito molto duramente a livello morale (era già morta sua madre per questo male e ci fu una ripercussione pesantissima per il ragazzo allora) ha preso coscienza del fatto che il suo percorso in vita stesse per arrivare a destinazione. Una vita fatta di problemi sociali fin da piccolo (molto timido, schivo, a volte emarginato da come si evince dai suoi primi disegni, molto malinconici e teneri alcuni), ha saputo rialzarsi dopo la morte della madre e piano piano scalare le vette da fumettista. Non lo faceva per soldi, semplicemente per passione. A chi a un certo punto gli consigliava di disegnare piu' strisce giornaliere per portarsi avanti col lavoro, lui rispondeva sempre che preferiva lavorare ogni giorno e cosi' fece per 50 anni. Diventa ricco, trova una moglie perfetta, ideale, nascono i suoi 4 figli, due maschi e due femmine. Sembra essere una famiglia da favola. Invece Charles toglie tempo alla moglie, anch'essa ambiziosa e poco incline dopo svariati anni a sentirsi cosi' messa da parte. Inziano i litigi dopodichè si separano, divorziano e Charles si risposa. Ma è sempre concentrato quasi unicamente sul suo vero amore, il fumetto. Sparky, come veniva soprannominato dagli amici, sembra sapesse fin dall'inizio che il senso della sua vita era quello di disegnare fumetti, quella era la sua missione. E ci ha dedicato anima e corpo, questo gentleman da modi eleganti e gentili, e da una determinazione altrettanto forte e invalicabile, che lo ha reso un grandissimo del nostro tempo ma anche fragile nei rapporti che ha avuto. E' stato a dir poco emozionante. Quando si è chiuso il documentario, c'e' stato un momento in cui chi era presente ha dovuto riassorbire una seconda volta tutte quelle testimonianze, completando un puzzle complesso da assorbire. Perchè ricchissimo di carica emotiva. Io ero stracolmo di emozione dentro. E' incredibile come con disegni semplici e in apparenza banali, abbia saputo toccare il cuore del mondo. E' riuscito con una semplicità disarmante a farsi ascoltare (cosache da ragazzino, e forse anche da adulto non è riuscito mai a fare) e a regalare a chi leggeva e legge degli amici. Che hanno problemi come noi, che ridono e piangono come noi, che muoiono come noi. Lui, Schulz, non morirà mai. Di questo ne sono certo.

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