Lehane e la sua terribile isola

venerdì 26 marzo 2010


Se bisogna trovare un solo aggettivo per questo libro, penso sia IPNOTICO. Si, perché travalica anche l’idea stessa del thriller come genere.
L'isola come simbolo di un'inevitabile solitudine, di un tragico abbandono di sè, della fuga di ogni speranza.
Innanzitutto, al centro di tutto non c’e’ l’azione in sé e per sè, c’e’ altro, di ben piu’ profondo e ambiguo, e che stimola decisamente riflessioni di un certo tipo. La psiche delle persone, cosi’ vulnerabile, cosi’ imprevedibile, cosi’ straordinariamente variegata, è il collante di tutte le vicende che si susseguono. A volte con lentezza, a volte con improvvise accelerazioni che mette sul chi va là il lettore. La tensione è enorme, e non risiede nell’alternanza di momenti veloci e improvvisi ma scaturisce dal viaggio inesplorabile, misterioso, oscuro nella mente di Teddy e dei pazienti (e anche prigionieri) della Shutter Island.
Il mondo nel quale si viene catapultati sembra lontano anni luce dal nostro, un tunnel in profondità dal quale è impossibile rivedere la luce in superficie. In realtà, è molto piu’ vicino a noi di quanto si creda, e se ci si pensa bene, seppur in proporzioni minori, l’imprevedibilità della gente la si constata tutti i giorni, anche nelle piu’ piccole e apparentemente banali cose.
Lehane ha adottato sapientemente un alternanza di ritmi da dare alla narrazione molto azzeccata. Perché è un libro che non puo’ tralasciare le sfumature (evidente nei sogni di teddy, in un ricorrente flashback della sua vita), gioca con la mente anche del lettore che è chiamato a interpretare momenti e personaggi ambigui e a cercare il lasciapassare per insidiarsi in quest’isola che assume tutti i crismi del luogo comune che vede questa fetta di terra interamente circondata dal mare, come un luogo oscuro, intrappolante, claustrofobico, che non dà speranza.
Le istituzioni, già, sono un bene o un male della nostra società? Il libro è ambientato nel 1954, ormai a un qualche anno di distanza dalla fine della seconda guerra mondiale, ancora troppo poco il tempo passato per considerarsi definitivamente fuori da un periodo storico che ha lasciato segni irreversibili soprattutto dentro le persone. C’e’ ancora diffidenza, paura, scetticismo, anche nelle istituzioni. E quella che dipinge per noi Lehane, è una struttura piuttosto ambigua, dura, inquietante, cinica, che rispecchia perfettamente tutto il senso di una civiltà delirante, molto piu’ delirante di chi folle lo è per natura, perché consapevole.
E’ straordinaria la caratterizzazione dei personaggi, entro cui la penna di Lehane scava piu’ in profondità di un meteorite che si abbatte sulla terraferma, è straordinaria anche l’evocatività delle parole che si vestono da immagini e fotografie dell’ambientazione in cui tutto prende vita, straordinaria infine la scelta di inserire il doppio-binario narrativo, su cui il lettore dovrà decidere da che parte dirigersi e in cosa credere, perché è cosi’ facile cadere nella falsificazione della realtà dietro a un resoconto dei fatti credibile che anche il finale lascia ancora aperta ogni interpretazione possibile. Forse è questa la grandezza definitiva del libro, lasciare il bicchiere mezzo pieno e allo stesso tempo mezzo vuoto, lasciare una parta mezz’aperta e contemporaneamente mezza chiusa. Chissà, dove regna la verità assoluta. Ma esiste una verità assoluta o la verità, in qualche modo, è un po’ di tutti?
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Leggo cio' che voglio in base a...

lunedì 22 marzo 2010


In base a cosa si decide  oggi un libro?
Siamo nella società della comunicazione a piu’ livelli, a 360 gradi, dove le influenze son tra le piu’ disparate  perché i mezzi di comunicazione e la loro pervasività crescono sempre di piu’.
E allora si legge un libro perché un critico letterario su un giornale o in tv ne parla bene, o per il passaparola tra amici e colleghi, o ancora perché la copertina è graficamente cosi’ comunicativa che diventa una sorta di elemento persuasivo determinante, o ancora grazie ad Anobii oppure a una pubblicità di un altro scrittore che a noi è piaciuto tanto che sponsorizza quell’altro libro non di sua fattura. Quante spinte esistono oggi perché una persona possa convincersi che quel libro faccia al caso proprio e che vale dunque la pena di spendere soldi e tempo per immergercisi?
Parlando per me personalmente, faccio molto affidamento a pochissime persone, di mia fiducia, quando si parla di un consiglio giunto da altri. Il passaparola lo trovo ormai quasi come una tecnica artificiosa di “televendita” che ha modificato profondamente il suo status e la sua autenticità da quando esistono i mezzi di comunicazione di massa. Era molto piu’ meritevole di fiducia e credibile, ai miei occhi, quando non c’era ad esempio una televisione come quella di oggi, l’influenza forte e partitica dei giornali attuali, quando insomma i grandi mezzi televisivi non pressavano la gente a scegliere un determinato consumo rispetto ad un altro, evidenziando in maniera spesso eccessiva alcuni prodotti, negando anche la minima luce ad altri prodotti magari molto piu’ meritevoli.
Evito di acquistare un libro quando tantissima gente lo legge o se ne parla all’inverosimile, a parte qualche eccezione.  Perché caratterialmente non amo in nessun caso l’eccessivo sfruttamento del proiettore dell’attenzione focalizzata su qualsiasi cosa: sulle persone, su un film (a parte qualche eccezione), sul libro.  Evito di acquistare un libro quando la pubblicità passa pressoché quotidianamente e con fastidiosa ripetitività su giornali, televisione: a mio modo di vedere un libro è bellissimo nel momento in cui lo si legge e piace, non in virtu’ di una pubblicità martellante. In virtu’ di cio’, la mia attenzione vede su di sé il manifestarsi dell’effetto opposto, ovvero allontanarmi dall’interesse piu’ che avvicinarmi.
Insomma, piu’ si parla di una cosa, io meno tendo a esserne attratto. Che si tratti di film, libro, spettacolo teatrale, personaggio pubblico. Perché la scelta non dev essere imposta, non dev’essere vittima di un’eccessiva forza persuasiva, dev essere frutto di conoscenza, di interessamento, di consapevole fruizione determinata da un’altrettanta consapevole e soprattutto LIBERA scelta personale.
Al diavolo le top ten, al diavolo le trasmissioni in cui si parla solo dei film, dei libri, dei prodotti culturali del momento. Perché “del momento” è un’espressione odiosa, che presuppone già un giudizio del prodotto in questione che pretende di valere per tutti, una vera e propria invadenza del proprio habitat personale. 
Perchè devo leggere quel libro? Perchè me lo dice la tv? Un giornale? Tante persone, magari che conosco appena o affatto? Io, valuto piu' nel profondo, perchè la scelta di un libro, come di un film, è una pratica che non è solo di consumo ma anche quasi "religiosa", in cui si crede o meno, senza che si nascondando atteggiamenti omologanti o massificanti, che renderebbe il tutto, a mio modo di vedere, cosi' commerciale e semplicistico da snaturare anche il concetto in sè di libera scelta consapevole.
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Storia (sociale) dei consumi in Italia

mercoledì 17 marzo 2010

Quando un saggio corre il “rischio” di rivelarsi piu’ piacevole e narrativo di un romanzo.
Emanuela Scarpellini, docente tra le altre cose di Storia contemporanea e Storia sociale dello Spettacolo all’Università degli Studi di Milano, ha saputo tracciare con lucidità, con estrema chiarezza espositiva, con grande attenzione e precisione ai particolari senza pero’ correre mai il rischio né di annoiare né di cadere in un sentimentalismo patetico, quattro macro-fasi della storia dei consumi nostrani: l’Italia liberale, l’epoca fascista, il periodo storico del boom economico e infine il periodo storico che va dagli anni 70-80 fino ai giorni nostri, il tutto senza mai mettere da parte i grandi eventi che hanno inevitabilmente indirizzato bene o male le scelte e le possibilità di vita degli italiani.
La cosa estremamente interessante di questo saggio, che lo rende nel suo genere abbastanza atipico per come è stato pensato , strutturalmente scritto e proposto al lettore, è la sua caratterizzazione profondamente narrativa del tema trattato. Mi sono piaciute particolarmente le prime righe di ogni capitolo e paragrafo, dove sembra di essere guidati da una telecamera che cerca di arrorbire rumori, profumi (e odori)rubati, colori e zooma su ogni angolo della casa, dei negozi (o centri commerciali), della vita quotidiana della gente del tempo, che spazia dal lavoro, alla vita domestica, al tempo libero. Si riesce nitidamente respirare e vivere in prima persona ogni sfaccettatura del periodo storico, a livello anche emotivo, tuttavia rimanendo lucidi e sufficientemente distaccati per evitare di scadere in un eccessivo sentimentalismo.
Si va da una tipologia di consumo a un’altra, e la diversità profonda che le differenzia è dettata dal contesto storico a cui appartiene ,si passa da un luogo di consumo a un altro la cui funzione viene modificata nel tempo o si assiste a una nascita nuova di zecca di nuove “città nella città, del consumo”, da un valore economico attributo a un oggetto che ha un suo corrispettivo valore, forse piu’ profondo a livello sociale e antropologico, il tutto supportato da una straordinaria precisione connotativa che esalta i ricordi, a dir la verità un po’ malinconici, di chi quegli anni ha avuto la fortuna (o sfortuna dipende dai casi) di viverli sulla propria pelle e non puo’ non ricordare nitidamente marche di oggetti, strumenti che ora sono spariti, abbigliamenti vari e modalità di vivere il proprio tempo libero che ormai hanno lasciato spazio ad altro.
Una nitidezza d’immagine impressionante, che assume i contorni di una fotografia o di un video da cinepresa, che tocca da vicino ogni angolo della vita delle persone. In base a genere, età, provenienza geografica, delineando anche paragoni tra un paese, l’Italia, chiaro oggetto di studio primario dell’autrice, con alcuni dei paesi piu’ importanti come l’Inghilterra e gli Stati Uniti. Anche “invadendo” campi non propriamente sociologici, come l’economia, la politica, ad esempio soffermandosi sul fatto di come l’intervento dello Stato abbia avuto un impatto non indifferente sul lato del consumo, anche perché acquistare significa dare vita a un giro economico che non puo’ lasciare indifferente chi deve gestire e governare milioni di persone.
Abbigliamento, distinto per genere , stratificazione sociale, periodo storico e età, alimentari, per cui si fanno distinzioni tra una classe sociale e l’altra entrando nello specifico piu’ particolareggiato del tipo di cibo consumato, utilizzo del tempo libero (e anche qui le distinzioni sono d’obbligo, anche tra un periodo storico e l’altro, la classe sociale d’appartenenza e la conseguente alfabetizzazione e disponibilità economica, il genere), la cultura, il lavoro. Tutte lenti d’ingrandimento che hanno setacciato con estremo scrupolo il quotidiano di tempi ormai lontani ma anche della strettissima attualità, che mette in estrema evidenza il netto cambiamento rispetto al passato.
I vecchi grandi magazzini contro i nostri mostruosi centri commerciali, le piccole botteghe indipendenti contro le catene di negozi, occupazioni artigianali centrali ed emblematiche del modo di vivere di un tempo ora trovano posto solamente su gallerie fotografie storiche e su libri di storia.
Oggi per noi sembra cosi’ naturale andare in un parco a tema, in un centro commerciale, alla multisala cinematografica, a un enorme supermercato. E’ routine. Erano in realtà pure utopie fino a non molti anni fa, chiedere per credere a anche solo una generazione precedente alla nostra. Il consumo, anche quello individuale, ha tutta l’aria di essere spesso anche collettivo, quasi una sorta di esistenza nell’esistenza dell’individuo, per cui il consumo è anche prerogativa di socialità. Perché consumare assume i piu’ svariati significati, oggi spesso anche ostentativi da un punto di vista estetico.

* Titolo: L' Italia dei consumi. Dalla Belle époque al nuovo millennio
* Autore: Scarpellini Emanuela
* Editore: Laterza
* Collana: Quadrante Laterza
* Edizione: 2
* Data di Pubblicazione: 2008
* ISBN: 8842085995
* ISBN-13: 9788842085997
* Pagine: VIII-315
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Inguaribilmente USATO


Leggendo Zadoorian, mi sono divertito, commosso, ho passato del tempo bellissimo in una lettura che vuole sottolineare come le passioni non abbiano barriere.  Non bisogna sentirsi giudicati per nessuna ragione al mondo. E soprattutto  le passioni sono tali perché sono folli, drammaticamente folli, spinte da chissà quale forza oscura che di fronte a esse non capisci piu’ nulla, la razionalità tende a evaporare prima ancora di accorgerti che ne possiedi una, e a quel punto sei bello che fottuto.
Leggendo questa autentica mania imprescindibile, di Richard, di acquistare cianfrusaglie, ho notato che questo libro potrebbe avere qualche aggancio biografico notevole con il sottoscritto. Perché fino a tempo fa frequentavo con molto piacere i mercatini dell’antiquariato ma soprattutto perché oggi io posso definirmi come un membro ufficiale della Setta del Libro Usato. Semplice a spiegarsi:  nonostante una wish list che incrementa quasi esponenzialmente il proprio contenitore di desideri da bramare, nonostante la lista di libri da leggere si allunghi al passo (vergognoso) quasi del “giorno in giorno”, appena vedo una libreria dell’usato, c’e’ qualcosa che mi strappa dai pensieri e dagli impegni del momento, facendomi quasi dimenticare della mia stessa esistenza. Penso che potrei quasi uccidere se un libro usato al 50% me lo chiedesse. Vengo ipnotizzato, inquietante. Una nube nera mi oltrepassa e mi oscura ogni tipo di visuale, rendendomi un cieco fetente che vede solo l’opportunità di acquistare un libro a metà prezzo. Usato? Meglio ancora, perché come dice Zadoorian un oggetto usato rappresenta una relazione da instaurare con il precedente possessore, e leggendo queste parole nel libro ho subito pensato: ma questo bastardo ha violato il copyright del mio modo di vedere le cose (in tutti i sensi).
E cosi’ piu’ uno si impegna con se stesso a evitare di fare certe cose, piu’ nella tentazione di farle, quasi facesse un dispetto all’amichetto che il giorno precedente gli ha rubato la fidanzatina in classe o gli ha strappato l’ultima caramella che la maestra stava distribuendo alla classe, inesorabilmente ci casca.  Bisognerebbe inventare una tassa del 101% sulla tentazione: nel caso uno non riesca a resistere alla tentazione, scatta automaticamente la tassa o, meglio ancora, la multa. I vigili delle librerie, ma me li immagino? Ah, con me fatturerebbero cosi’ tanto che a questo punto forse i Navigli sarebbero già stati ripristinati come si deve in vista dell’Expo del 2015.
In libreria, poi, c’e’ la pietosa, patetica, simulazione del “si lo acquisto, anzi no, non posso”, lo scontro tra tentazione e coscienza, nella quale si finge che ad aver la meglio in definitiva sia stata la coscienza, che ha salvato dall’ennesimo baratro il proprio portafoglio che piange disperato. Invece poi tutto ad un tratto, senza quasi accorgersene, si è intenti a firmare un piccolo foglietto di carta, nello spazio sotto all’indicazione del prezzo da pagare e il nome della carta di credito con cui si stanno mandando a farsi fottere altri soldi.  Questo sono io. Una lotta eterna tra bene e male, tra spesa e risparmio, tra sacchetto e non sacchetto. Irrecuperabile. E Zadoorian mi ha regalato quest’altra, impensabile, opportunità di ridere anche di me stesso. Bello. Ma si salvi chi puo’.
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Second Hand di Michael Zadoorian

lunedì 15 marzo 2010



Ci sono, nel corso della propria esistenza, manie, tendenze, hobby a cui, a un certo punto, non possiamo proprio fare a meno perché assumono l’identità di vere e proprie fissazioni personali, dipendenze cosi’ forti alle quali è impossibile rinunciare, che diventano prioritarie anche rispetto a molte altre cose che in teoria, si da per scontato che siano primarie nella vita di una persona, come il lavoro, i sentimenti, l’integrità morale.
Chi di noi non ha mai vissuto l’ebrezza dell’esperienza del collezionismo, del riempirsi mensole, scrivanie, contenitori, di oggetti, anche insignificanti, che passano completamente sotto silenzio o che vengono letteralmente lanciati dalle finestre da altre persone, ma che per la persona in questione assumono un valore di sacralità, unicità e fissazione? L’oggetto in questo caso diventa molto di piu’ di un qualcosa di inanimato, di un corredo da usa e getta, si trasforma in un racconto di uno stile di vita, in una vera e propria carta d’identità della propria personalità, in un vero e proprio senso da dare alle proprie azioni quotidiane, senza le quali si rischia di perdere un po’ la bussola. CI si sentirebbe un po’ vuoti, orfani di quello che è diventato ormai una ragione di vita, una sorta di meccanismo di fidelizzazione a una propria passione sconfinata.
Oggi c’e’ la tendenza a inseguire l’ipernuovo, il supertecnologico, l’ultimissima frontiera della novità che rende obsoleti oggetti usciti sul mercato anche solo 2-3 mesi fa, c’è una ricerca continua all’oggetto continuamente aggiornato e sofisticatamente espressivo da sfoggiare a livello sociale, un irrefrenabile usa e getta che rende l’oggetto un qualcosa di estremamente effimero e instabile.
Second hand, ovvero seconda mano, ci descrive il mondo delle cianfrusaglie, cosi’ ingiustamente relegate alla categoria delle inutilità, pregiudicate come futili, ingombranti edispendiose in termini di spazi da occupare, sporche e sinonimo di disordine e sciatteria. In realtà, un oggetto, anche tra quelli in apparenza piu’ inutili, particolari, assurdi, hanno qualcosa da dare a chi l’acquista o a chi decide di non gettarla via. Ed è quello che pensa Richard,ragazzo “junker” che vive la sua esistenza a caccia di cose già vissute, abbandonate, nella sua totale solitudine , oggetti semplici, anche tra i piu’ folcloristici, anche tra i piu’ improbabili, ed è con gli oggetti che intrattiene le sue uniche relazioni personali. In contrasto perenne con la sorella, che invece vive una vita opposta alla sua, fatta di gusti opposti (per il nuovo), con un modo di vedere il mondo completamente diverso dal suo, e’ da anni che non intrattiene una relazione con una donna, è da anni e anni che vive gestendo un negozio di cianfrusaglie che in ben pochi si accorgono che esista ed entrano con quello che Richard definirebbe “il giusto spirito”. Finchè non conoscerà Theresa, anima gemella perché anche lei molto appassionata di oggettistica, qualunque essa sia, da raccattare ovunque, agli sgomberi, nei garage in svendita, nell’Esercito della Salvezza, nei mercatini. Muore la madre (di Richard), la sorella Linda cerca di pressarlo in qualche modo a vedere diversamente la vita e rimettersi in pista (quella giusta), sembra che tutto vada per lui verso un baratro esistenziale sempre piu’ profondo. Finchè, appunto, non entrerà nella sua vita, entrandole simbolicamente per la porta del suo negozio ovvero la sua vita, stravolgendogli ogni suo punto di vista, ogni sua filosofia di vita, mettendolo in una sorta di spalle al muro perché non si puo’ scappare sempre da un rapporto intimo, maturo, pressoché definitivo con una persona. E quindi lei, imprevedibile, umorale, spirito libero difficile da gestire, psicologicamente instabile, provoca in lui un cambiamento significativo perché gli fa scoprire l’amore, quello irrinunciabile, che crea crampi allo stomaco e felicità alle stelle, quello che da un senso a tutto e che ristabilisce le giuste gerarchie tra le cose per cui vale la pena vivere. Forse, la ricerca ossessionata di oggetti, che assomiglia molto alla ricerca ossessiva di tantissimi appassionati come chi colleziona qualsiasi tipo di oggetto come conchiglie, spille, bicchieri della birra, lattine, punte delle matite colorate ecc.ecc. è sintomo di una mancanza di qualcosa di imprescindibile? Richard vede negli oggetti da collezionare (e da rivendere) gli unici compagni fedeli che meritano attenzione, gli unici per cui si possa spendere la propria fiducia con la certezza di venir ripagati come si deve. Vede nelle cianfrusaglie, un modo per intrecciare relazioni con le persone a cui quegli oggetti sono appartenuti in precedenza, e sottolinea come il “nuovo” in realtà non sia nient’altro che uno spreco, un’anonimato che non vibra, fine a se stesso, che non dà emozioni, che non permette un rapporto con un rivissuto che sa sprigionare emozioni a catinelle.
Il finale è forse uno dei piu’ belli che abbia letto.
E’ un libro molto fresco, divertente ma che in ogni pagina spinge a riflettere parecchio sulla caducità della vita, sulla socialità delle persone, su tutti quei problemi singoli che si presentano come ostacoli a un normale vissuto che intralciano sempre, sia fisicamente che psicologicamente, il proprio cammino. Anche Theresa ha in realtà un proprio fronte di problematiche che non riesce a risolvere, a reprimere, certamente per il lavoro che deve fare ogni giorno, cercare cani e gatti abbandonati e recuperarli nel suo rifugio dell’anticrudeltà, per cui è costretta a uccidere tantissimi animali che non trovano una collocazione. E qui il tema dell’abbandono, del maltrattamento degli animali è forte e assolutamente combattuto dallo stesso Zadoorian, che lui in prima persona è circondato da animali, tra cui un bellissimo gatto rosso che si porta ovunque insieme alla sua compagna Rita.
La scrittura è molto brillante, efficace, e non per questo poco comprensibile. Anzi, è fluidissima, attacca tantissimo sull’emotività e la sensibilità di chi legge, con una spietata autoironia, fa parlare in prima persona il suo personaggio, Richard, che descrive senza ostacoli, senza paraventi, senza vergogna, con la piu’ totale e assoluta genuinità la sua ripetitiva quotidianità, senza che accada mai nulla di sostanziale finchè, appunto, non incontra Theresa. Con la quale nasce un amore forte, a volte incompreso dai due che amoreggiano, litigano, si lasciano, si insultano, piangono, ritornano insieme e si fanno compagnia. La distruttività di Theresa contro la paura, la gracilità, la passività (che poi si trasforma in una forza prorompente e imprevista) di Richard. Insomma, una montagna russa, un’enorme altalena di quello che è l’amore anche per molti di noi. E un’altalena di emozioni infinite per chi legge, che non puo’ non amare Richard e il suo amore folle per qualsiasi oggetto (e la descrizione delle sue ricerche ricorda molto da vicino le mie ricerche che facevo quando collezionavo banconote e quella mia attuale dei libri, specie al Libraccio) e farsi trasportare dolcemente da tutte queste vicissitudini che hanno il grandissimo merito di farci sentire un po’ tutti noi dei precari a questo mondo, degli “junkers”, ma con una possibilità enorme su cui fare riferimento per stabilizzarci: L’AMORE, appunto.
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Zadoorian e gli oggetti usati

sabato 13 marzo 2010

Sto leggendo SECOND HAND, libro di Michael Zadoorian, molto molto bello (ma per un giudizio finale che scrivero' qui sul mio blog, naturalmente, aspetto la fine del libro), in cui soprattutto mi stupisce in positivo, mi ha colpito molto nel profondo questo amore per le cianfrusaglie, ma soprattutto una visione diversa delle cose a cui noi siamo decisamente, e purtroppo a volte, abituati. C'e' una cultura omologata nella nostra società troppo netta, spesso cinica, superficiale. E Zadoorian si vuole staccare da questa miopia che non riesce a vedere valori, la grandezza delle piccole cose, il sentimento e le piccole grandi storie che si nascondono dietro anche le situazioni e gli oggetti piu' improbabili.

Per questo, incollo una parte del libro, splendida, in cui il suo personaggio principale, Richard, che racconterà in prima persona le sue vicende molto particolari, rifletterà a voce alta per noi lettori, sull'importanza dell'usato e sul suo continuo riciclo.


"Personalmente trovo che le cose nuove siano noiose. Non hanno storia, non vibrano.
Mi sento piu' a mio agio con le cianfrusaglie.
La parola stessa è rivelatrice: seconda mano, altre mani hanno toccato quell'oggetto.
Pensate a tutte le cose che tocchiamo ogni giorno, ai milioni di piccoli legami che tengono insieme le nostre vite...
Allora pensate a tutte le cose che avete posseduto, a tutto cio' che vi è passato tra le mani.
Dove saranno finite quelle cose?
Pensate ai milioni di altre vite che avete sfiorato attraverso le cose che avete posseduto e che portano la vostra essenza. Incredibile, vero?
Sono convinto che quando possiedi qualcosa che è appartenuto a un'altra persona, stabilisci un contatto segreto con lei, con il suo passato. E' un modo per toccare una persona senza incasinarsi coi sentimenti. Ecco cosa rappresentano gli oggetti di seconda mano, per me. Ma ovviamente ci sarà sempre gente che si domanderà se quelle mani fossero lavate come si deve".

Piu' di uno spunto di riflessione verrebbe spontaneo a riguardo. Ma attendo la conclusione del libro per approfondire un tema molto affascinante da scavare piu' a fondo.  Perchè ritengo che, chi almeno ha una sensibilità profonda verso cio' che lo circonda, non puo' rimanere indifferente a questo splendido romanzo.
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Febbraio 2010 e le mie letture

lunedì 1 marzo 2010


Per definire il mio febbraio 2010 da lettore, posso usare tre aggettivi: prolifico, di qualità e eclettico.
Prolifico perché 6 libri in un mese per me è tanta roba, di qualità perché sono state letture di grande rilievo e di una certa profondità narrativa, eclettico perché ho consumato letture anche piuttosto diversificate, in quanto a generi, trame, stile narrativo. 
Dunque,  in maniera molto schematica per non perdermi in fiumi di parole eccessivi:

Originalità, intensità e ottima caratterizzazione dell’ambientazione e dei personaggi, rendono questa favola oscura un libro da leggere. L’ho amato profondamente. La famiglia Binevski è un microcosmo narrativo da non lasciarsi scappare. Un’esperienza di lettura unica.


 Ironia, anche beffarda, un ritmo serrato e una narrativa corrosiva che prendono di mira l’individuo ostaggio delle sue debolezze e una società spietata sempre piu’  spinta a cancellare i veri valori. Una scrittura che si ama o si odia. Io personalmente vado letteralmente pazzo dell’universo Nothombiano.


La solita prosa asciutta e diretta, estremamente espressiva, della desolazione con cui l’uomo ha creato la propria autodistruzione. Un romanzo apocalittico che pero’ alimenta speranza, a partire dall’amore, quello che puo’ legare un padre a un figlio in mezzo al nulla.



A detta di molti un libro sperimentale che ha fatto nascere un genere, quello postmoderno. Dal mio punto di vista semplicemente un romanzo autoreferenziale, che ostenta una certa presunzione stilistica e che non lascia nulla. Impalpabile. A volte irritante.



Un racconto piu’ bello dell’altro, con la solita delicatezza e la solita poesia Murakamiana, che esplora la quotidianità esistenziale fatta di scelte, delusioni, abbandoni,  riscatti e piccoli gesti che determina il vissuto di un individuo. Il tutto con un tocco di fantastico e di onirico che non sembra essere mai fuori posto. 


 
Ben piu’ di un semplice fumetto. E’ un vero capolavoro per confezionamento editoriale, per qualità artistica dei disegni, per narratività. Un volume da custodire con grande cura e gelosia sullo scaffale della propria libreria. Inviolabile.


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