Cold Spring Harbor - Richard Yates

venerdì 16 aprile 2010


Se pensiamo che Richard Yates è morto a 66 anni, quindi in età ancora prematura, ci si morde le mani dal rimpianto di quanti altri scritti straordinariamente intesi, e quindi indelebili sulla pelle, nel cuore, nel ricordo di chi legge, ci avrebbe potuto regalare. Senza chiedere nulla in cambio, solo di essere letti. A lui i soldi non interessavano, interessava invece che in molti prendessero in mano un suo libro. Cosa avvenuta piuttosto tardivamente, ma oggi si respira un’aria diversa attorno a questo straordinario (e sottovalutato) scrittore appartenente a quella meravigliosa corrente letteraria che è il realismo americano. Forse è stata Kate Winslet, quando ha proposto a suo marito di portare sullo schermo lo straordinario Revolutionary Road. Si sa che oggi tra case editrici e lettori svogliati, è sempre complicato scovare scrittori in angoli oscuri, in mezzo alla polvere, che invece meriterebbero la ribalta e i riflettori. Minimum Fax ci è riuscita, e anche altre piccole case editrici, per fortuna, stanno svolgendo un ottimo lavoro in tal senso.
Parlando del libro, non si puo’ non notare, che sono presenti tutti gli ingredienti tipici della sua letteratura, in cui lui ha sempre creduto molto. Partiamo dal fatto leggendo un libro di Yates, l’ambientazione è fortemente connotata, ricercata, non è la metropoli con la sua invadenza, con la sua onnipresenza, con il suo dominio su tutto, con il suo sviluppo in orizzontale e verticale. Il microcosmo geografico è quello della periferia, magari nei pressi di una grande città, ma non la grande città. Come se volesse cercare un po’ di privacy, di una distanza di sicurezza dall’indifferenza che genera il clima da big city, le pressioni negative che portano solo a disinteressarsi delle piccole esistenze che hanno luogo al suo interno. Ma non è nemmeno campagna. Solo piccole cittadine di periferie nelle quali la violenza della risoluzione interiore con i problemi ha la forza dell’esplosione di una bomba atomica, dove tutto viene inevitabilmente amplificato, anche le sciocchezze.
Passiamo a un altro punto caldo tipicamente Yatesiano ed è il fatto che leggendo, e proseguendo nella lettura di qualsiasi suo libro, ogni personaggio, ogni evento che si intreccia e lega ai protagonisti del microcosmo familiare, inevitabilmente vedrà la propria condizione, la propria esistenza, peggiorare gradualmente. Ma il peggioramento è assolutamente palpabile, magari non esternamente dove spesso si cerca di nascondere per convenienza le proprie battaglie interiori, le proprie debolezze, le proprie incapacità, la propria impotenza di far fronte alla realtà che chiama a rispondere, ma nelle sfere piu’ intime del personaggio sono in corso scosse di terremoto che si sentono un po’ fin dall’inizio ma che proseguendo diventeranno drammaticamente dannose e irreversibili, con tutta una serie di conseguenze che allargheranno il loro campo da resa dei conti ad altri coinvolgimenti. I personaggi di Yates aspirano a qualcosa, sempre. Non a diventare eroi, perché non se lo possono permettere. Sperano di poter raggiungere il traguardo di un futuro presente, stabile, fatto di un lavoro che piace, di una famiglia normale, di riti e di una quotidianità che non dia grosse scosse ma che non si rischi di perderli per strada, solo il minimo necessario per sentirsi parte di un’esistenza da non rimpiangere e da non maledire. L’accontentarsi di essere normale sembra avere decisamente la meglio sull’ambizione del volersi distinguere in qualche modo.
D’altronde i personaggi sono quello che sono, c’e’ il Signor Shepard, ex capitano nell’esercito, che rimpiange ancora quei tempi andati, c’e’ Grace Shepard, in uno stato depressivo degenerativo sempre pressante anche sul resto del nido familiare, c’e’ Gloria Drake, donna piuttosto fragile, infantile, che si infatua di Shepard Senior, sempre a rischio di sbottamenti nervosi imprevedibili e di portata notevole, divorziata dal marito e madre di Rachel, ragazza tenera ma anch’essa piuttosto fragile e che non sa esattamente cosa voglia dalla vita se non il realizzarsi di un quadretto idilliaco fatto di casa, figli e un marito che torna dal lavoro da accudire, c’e’ poi l’altro figlio dei Drake, Phil, un ragazzo immaturo per la sua età, piuttosto inquieto nel pieno della sua adolescenza, che cerca un varco da qualche parte per poter realizzare una propria felicità che non si sa bene dove possa trovare. E poi c’e’ naturalmente Evan Shepard, marito di Rachel, reduce già da una separazione da Mary, con cui ha avuto una bambina, che è stato il suo primo grande amore, e che tornerà a infittirne la sua nebulosità interiore piuttosto marcata, sempre molto aggressivo, lunatico, appassionato di auto e donne. Tutti personaggi che fingono una qualche ambizione, che credono di potersi considerare adulti, di poter programmare in qualche modo con razionalità la propria vita, di saper seguire alla lettera il manuale che insegna a vivere. E sarà sempre e comunque una debacle che taglierà le gambe a pressoché tutti. Un fallimento dietro l’altro. Una rovinosa caduta continua verso l’inconsistenza. L’esistenza è inconsistente per queste anime destinate a non vedere mai la luce del sole della spensieratezza e della gratificazione personale. Almeno non quella ostentata e finta.
Piu’ si commettono errori e piu’ se ne fanno a catena, è una slavina che al suo cedere , raccoglie di slancio tutta l’inadeguatezza e l’inappropriatezza delle scelte e delle loro azioni, in unico enorme vissuto disastroso che alla fine poi travolgerà tutto e tutti. Piu’ si cerca di stabilire (o ristabilire) un’equilibrio e piu’ ci si aggroviglia in un labirinto ancora piu’ intricato. Basta un nonnulla per alimentare micce, e per farle scoppiare. La vulnerabilità dei personaggi qui è quasi commovente, fa compassione, tenerezza. non si riesce quasi a provare rabbia, nei loro confronti, nemmeno quando alzano la voce, quando si dimostrano palesemente dei deboli, dei menefreghisti oppure quando nel loro piccolo sperano nella morte di qualcun altro per avanzare negli affetti di qualcun altro. C’è una sorta di simpatia che viene naturale, certamente mista a compatimento, c’è un’automatica complicità solidale del lettore che vorrebbe allungare una mano, un braccio, una gamba per creare un supporto, un appoggio a questa famiglia sgangherata, che non riesce a riconoscere neanche se stessa.
E’ straordinario come Yates sappia attraverso la sua scrittura segnalare il dramma, il cambio di passo nella narrazione da un momento di (apparente)quiete all’approssimarsi della tensione palpabile crescente fino all’esplosione (silenziosa, quasi rispettosa) per cui è ormai troppo tardi per cercare un salvataggio d’emergenza.
Il tutto inserito nel contesto della seconda guerra mondiale, che si muove sullo sfondo della narrazione, ma sarà sempre un’evento con cui misurarsi pressoché quotidianamente, con tutte le tensioni , le speranze e le disillusioni, le precarietà che ne conseguono.
Yates con tutto cio’ vuole sottolineare come il mondo non giri nel verso che a lui piace, che l’umanità non è pronta ancora per rispondere PRESENTE, che a livello morale si è ancora decisamente carenti. Esprime senza ambiguità la sua contrarietà a come il tempo voli via senza che l’uomo sappia dare una traccia di sé in questo mondo. Si ha la sensazione del continuo spreco, del perenne treno perso, dell’inadeguatezza umana a fronteggiare anche la scelta piu’ banale che la vita chiama a fare. L’arruolamento, in effetti, potrebbe essere una via di fuga, un taglio netto alle proprie responsabilità nascondendosi dietro il dovere che la Patria chiama a rispettare come se in un batter d’occhio la propria inconsistenza potesse essere assolta per diventare eroismo. Per questo motivo, appena a Evan viene negata la possibilità di arruolarsi, in lui c’è profondo sconforto. Sa che davanti a sé, lo attende la sopravvivenza, non l’esistenza. Perché è a questo a cui siamo abituati quando si parla del tipico personaggio Yatesiano: debole e impotente, dubbioso, perennamente insoddisfatto, che mente a se stesso per illudersi di qualcosa che non esiste, mentalmente instabile.
E che dire del finale. Il finale in Yates è sempre volutamente incompiuto, è un altro ingrediente Yatesiano, a cui lo stesso scrittore attribuisce notevole centralità nella strutturazione delle sue storie. Rimane in sospensione, come per dimostrare come la vita e le identità siano per definizione esse stesse poco definite e mai irreversibili, puo’ sempre accadere ancora di tutto, suscettibili ancora di mille ribaltamenti e contro ribaltamenti. Ma mai qualcosa di definito e definitivo. Prima della bellissima frase conclusiva con cui Rachel si rivolge al bambino appena nato dal matrimonio con Evan, si ravvisa un’ultimo scarica di terremoto di intensità elevata che fa intuire (perché il libro a un certo punto termina e non ci da testimonianza di cosa succeda poi dopo) un cambiamento radicale, netto, sterzante, stroncante , ancora una volta un ribaltone dell’esistenza dell’intera famiglia allargata e fa presagire che possano aggiungersi problemi a quelli notevoli già presenti e a delineare scenari ancora piu’ nebulosi di quanto non lo fossero già. Come spesso accade, ci sarà una scelta da compiere, con ripercussioni notevoli sull’esistenza di qualcun altro, a chiusura di un’altra grandissima prova d’autore che darà l’impressione a chi legge di aver subito un trauma sulla propria pelle.

Cold Spring Harbor
(Cold Spring Harbor)
243 pagine - marzo 2010
ISBN 978-88-7521-251-3

Prezzo di copertina: € 13
prefazione di: Luca Rastello
traduzione di: Andreina Lombardi Bom
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Marzo , le mie letture

giovedì 8 aprile 2010


Un marzo di letture per me soddisfacente, variegato (saggi, graphic novel, thriller, libro-testimonianze), decisamente un numero elevato di libri affrontati.  Un giudizio complessivo sulle letture nel suo complesso puo’ considerarsi certamente positivo.  

Quella notte alla Diaz – Christian Mirra

La graphic novel sempre piu’ come potente mezzo per raccontare, documentare, testimoniare. Mirra è partito dalla propria esperienza personale per denunciare avvenimenti e fatti sottaciuti da politica e media. 

Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie – Lewis Carroll

Da questo libro sono stati tratti cartoni animati e film. Innegabilmente, un libro che ha lasciato segni indelebili nell’immaginazione e nella fantasia di tanti. A me personalmente è piaciuto tanto soltanto a tratti. La difficoltà di una lettura smorzata da un continuo riferimento e rimpallo sulle note mi hanno frenato in un giudizio piu’ lusinghiero. 
Second Hand Una storia d’amore – Michael Zadoorian


Le cose usate hanno un valore. Parte da qui per poi sviluppare un’intensa storia d’amore, la brillantissima commedia di Zadoorian. Un libro dalla scrittura molto fresca e fluida, con un’interessantissima caratterizzazione dei personaggi , tante frasi da segnarsi sulla propria agendina e un finale da amare. 

L’Italia dei consumi. Dalla Bella Epoque al nuovo millennio – Emanuela Scarpellini

Per me non è un testo universitario, anche se l’ho letto secondo questa sua funzionalità. E’ un ripercorso storico, bellissimo, puntuale, evocativo di come gli italiani dall’italia liberale ad oggi abbiano consumato e consumino tutt’oggi. Tantissimi riferimenti a un mondo collettivo nel quale, generazione per generazione, ci siamo passati tutti ed è molto divertente rivedersi in una fotografia tanto nitida, panoramica, colorata come quella scattata dalla Scarpellini sulla società italiana e il consumo. 

Il reporter televisivo – Wolfgang Achtner
 
Un manuale interessantissimo completamente dedicato all’informazione televisiva. Regole, consigli su come affrontare e svolgere la professione,  nozioni tecniche complicate rese comprensibili anche e soprattutto a chi non è ancora interno al settore. Linguaggio assolutamente comprensibile, mai oscuro e ostentato.

L’Isola della paura – Dennis Lehane


Un thriller sui generis, nel senso che si distacca un po’ dal consueto thriller fatto tutto di azione, ritmo, suspance e colpo di scena finale.  Si puo’ definire come thriller psicologico, molto attento a un contesto molto meno frivolo di moltissimi thriller. Una bella scrittura, che evoca con grande maestria un’ambientazione molto affascinante e una caratterizzazione dei personaggi straordinaria. 

E il mio cuore trasparente – Veronique Ovaldè


Una delle nuove firme letterarie piu’ emergenti in Francia, un apprezzamento in crescendo in molti altri paesi europei, si sta facendo strada anche oltreoceano, in questo romanzo, vestito da altri di thriller ma che in realtà fonda la sua particolarità e attrattività su altri elementi , ha dato una pennellata di grande sentimento al suo personaggio, Lancilot, sempre pronto a combattere per scoprire la verità sulla scomparsa del suo grande amore perso in una morte tutta da indagare.  Il lettore si sente accanto a Lancilot, seguendolo nelle sue peripezie psicologiche e interiori, volendo al piu’ presto scoprire piu’ che la verità sulla morte di Irina, moglie di Lancilot, il destino che aspetta lo stesso Lancilot, che ha perso la sua forse unica ragione di vita, ritrovandosi ancora una volta come in partenza, solo col tempo che passa. 

La religione dei consumi – George Ritzer


Altro grande saggio, che si legge in pochissimo tempo, con grande piacere e interesse. Ritzer, uno dei piu’ grandi sociologici allo stato attuale, cerca di fare una panoramica oggettiva dei nostri centri di consumo, delle cattedrali del consumo, che hanno ormai innescato in noi un vero e proprio rito del quale non possiamo piu’ fare a meno, ovvero il consumo. Consumare denaro, consumare un prodotto, consumare tempo. E dietro a questo rito ci sono tantissime altri atteggiamenti, comportamenti di cui spesso ignoriamo l’esistenza perché ormai fanno parte di meccanicità.  Uno sguardo sociologico, psicologico e in parte economico molto lucido, divertente e frizzante.

Judenrampe 

Ogni libro dedicato alla Shoah è un libro necessario. Questo ha il merito di far pervenire al lettore immagini, sensazioni, puzza, violenza da piu’ voci, da chi ha vissuto momenti assurdi, inenarrabili, irripetibili, indimenticabili.  La pelle d’oca è il minimo. Guai a dimenticare. Alla faccia dei nazisti e dei negazionisti.

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