Dubus a Milano, un pomeriggio caloroso in un freddo lancinante

venerdì 18 dicembre 2009

In una Milano invernale, da temperature da gelo, c’e’ sempre un’occasione per riscaldarsi il cuore. Ieri ad esempio, è bastata un’ora e poco piu’ terminata la quale immettermi nel pungente freddo di una Milano che si appresta al Natale ormai alle porte, è stato come affrontare una normale serata milanese, come tante altre. Un’ora o poco piu’ di autentico estatico incontro con la letteratura. Un’ora e poco piu’ di un piacere che custodisco ancora intatto e gelosamente dentro di me. Non so in che percentuale oggettivamente incida l’ambiente, ma il Media Cafè di Via Sant’Agnese 16 a Milano, ha offerto un angolo natalizio delizioso, molto intimo, tutt’altro che snob e elitario, per una presentazione di un libro, quello dello scrittore americano Andre Dubus, defunto ormai da una decina d’anni, e che ha visto il suo sbarco in Italia soltanto il mese scorso, grazie a Mattioli 1885, casa editrice che sta porgendo una particolare attenzione alla letteratura americana e grazie in particolar modo a Nicola Manuppelli , curatore e traduttore del libro, e Gian Fulvio Nori, altro traduttore che ha partecipato al lavoro di trasferimento in italiano delle parole dall’originale. Innanzitutto, l’entrata è stata molto soft, come al solito sono arrivato un bel po’ di tempo prima. Locale vuoto, se non la presenza del proprietario, di una fila di libri che sono immediatamente riconoscibili, NOI NON ABITIAMO PIU’ QUI, appunto, di Andre Dubus, e due ragazzi che stavano cimentandosi in qualcosa al pc. Uno di loro era Nicola, che stava scrivendo un po’ il promemoria di cio’ che avrebbe dovuto dire, piu’ ampliamente, da li a un’oretta. Presentazione, stretta di mano, il mio sguardo che già li li lo ringraziava per avermi contattato su anobii e fatto conoscere il libro e per la possibilità di presenziare cosi’, fin da subito, rompendo immediatamente il ghiaccio con quell’autore cosi’ a me colpevolmente sconosciuto, all’evento. Si è scesi in taverna del locale, molto carino e d’atmosfera, quasi un salotto di casa con tavolini, divani, maxischermo, bevande, salatini. Come trattare da amico fin da subito qualcuno che neanche si è mai visto prima. E come dico sempre, dalle piccole cose si possono prevedere e rendersi conto in anticipo delle grandi cose. Che puntualmente si dimostrano essere tali. Prima pero’, ho avuto modo di raccogliere da un tavolino, su un porta biglietti, il biglietto di invito all’evento. Straordinariamente curato, straordinariamente ben scritto, straordinariamente d’impatto nella sua semplicità e nel suo essere li’. E’ già bellissimo che sia li a disposizione di tutti. Un ricordo da tenersi stretto, una volta portato a casa. Da non fargli neanche una piccola orecchia. Testimonianza di esserci stato. Perché il bello è sapere che nonostante il fretto che si sta patendo, nonostante l’orario un po’ cosi’ offtime per la gente che desidera rincasare il prima possibile dopo una giornata lavorativa o di studio, la gente c’era. C’era. Come il sottoscritto. Desiderosa di conoscere un autore che non si era ancora importato in Italia. Al suo debutto, nonostante in America, come scrittore di racconti, sia considerato al pari dei piu’ osannati in Italia, John Cheever e Raymond Carver e abbia confezionato un buon curriculum di lavori che hanno fatto innamorare perdutamente milioni di lettori.
La cosa bella è la passione con cui Nicola ci ha voluto trasmettere Dubus. Con sul video che scivolavano, in rispettoso silenzio, le immagini del film tratto dal libro, I GIOCHI DEI GRANDI, con Mark Ruffalo e Naomi Watts tra gli altri, che hanno accompagnato con delicatezza le parole di Nicola Manuppelli. Una reading di alcuni stralci del libro molto interessante, molto intensa, molto coinvolgente, con il silenzio di chi ascoltava che comunicava intensamente con le parole che volavano durante la lettura. Un ballo tra silenzio e parola che mi ha messo un po’ i brividi addosso. Tutta un racconto, poi, della vita dello stesso Dubus, con alcuni andeddoti e alcune notizie che mi hanno sorpreso (ad esempio che lui fosse amico intimo di Richard Yates o che fosse cugino di James Lee Burke), un’analisi splendida sulla sua scrittura e il suo modo di vedere le cose, i suoi pensieri. Ho preso appunti, come un’impeccabile studente universitario. Per non perdermi una parola.
Dubus era uno scrittore di racconti. Il racconto era la sua donna ideale. Colei che poteva anche aiutarlo economicamente. Il racconto innegabilmente poteva essere venduto meglio alle riviste, per raggranellare soldi che a un certo punto della vita, dopo il suo drammatico e incredibile incidente che lo ha costretto sulla sedia a rotelle, ha avuto ossessionatamente bisogno, malgrado tutta una serie di scrittori, tra cui Stephen King, abbiano deciso di aiutarlo sostanziosamente donandogli soldi, quasi come per ringraziarlo con gesti pratici per i momenti impagabili che è riuscito regalare loro con la sua scrittura.
NOI NON ABITIAMO QUI sono tre racconti, di 60-70 pagine l’uno (e già qui c’e’ l’insolito, i racconti numericamente contemplano un numero di pagine decisamente minore),incatenati l’uno con l’altro dalla presenza degli stessi personaggi. Racconti scritti a distanza di decenni l’uno dall’altro. E qui sta l’incredibile capacità di conservare personaggi, situazioni e ambientazioni da parte di Dubus, come se fermando un racconto e riprendendo un altro racconto collegato a esso una decina d’anni dopo fosse cosa normalissima. Lui non è un minimalista, ha voluto sottolineare piu’ volte Manuppelli, perché mentre il minimalista a un certo punto si ferma lasciandosi e lasciando il lettore a un’evocazione, e non vanno oltre quell’evocazione, si fermano un attimo prima di entrare nella zona pericolosa, lui entra, scava in profondità piu’ che puo’, fino a quando la storia non si è esaurita, fin tanto fin a quando il personaggio ha bisogno di una ricarica per tornare a comunicare qualcosa al lettore. La bellezza di Dubus, ci spiega Nicola, è che ci fa entrare nella testa dei personaggi cosi’ in profondità e cosi’ intensamente che anche chi stupra non risulta mai essere antipatico ai nostri occhi.
Nei suoi racconti si parla di valori, tradimenti, litigi, non ha bisogno di effetti speciali per sorprendere, non evoca nulla, non è il suo obiettivo, scrive e scava, scrive e scava. Finchè non arriva in un punto in cui lo indirizza a scavare da un’altra parte. Quasi come un segnale stradale. E questo lo ferma prima che sia troppo tardi. Prima di un rischioso incidente che ne comprometterebbe l’andatura. Sa tirare fuori una storia, e sono in pochissimi a riuscire a farlo. Lascia poi giudicare al lettore , lui non giudica mai. Sarebbe un errore gravissimo. Parla della natura umana e la disegna cosi’ come lo è mediamente, come siamo un po’ tutti noi comuni mortali che devono spesso arrancare e faticare per godersi il minimo sindacale. Non parla delle persone, parla alle persone. Ed è il lettore, per lui, a decretare il successo di un autore. Nient’altro. Per lui il miglior lettore è il bambino, che sa ascoltare e sa giudicare con un SI o con un NO, in assoluta sincerità.
Poi una bellissima lettura di uno stralcio di saggio chiamato MARKETING, in cui racconta un po' tutto il suo percorso di "venditore" di racconti, come fosse un ortofrutticolo. Molto interessante. Che fa riflettere e dovrebbe darsene una bella letta chi punta a scrivere creativamente.
Nicola ha sottolineato come chi ha amato REVOLUTIONARY ROAD, leggendo questo romanzo, proverà emozioni ancora piu’ forti. E il libro di Yates in bellezza e intensità, verrà superato da questo. Ora, devo ancora leggerlo e dovro’ farlo al piu’ presto, ma se fosse cosi’, come mai che per conoscere un autore straordinario bisogna SCAVARE, SCAVARE, SCAVARE, in profondità o arrivare a conoscere per caso quell’autore senza che le grandi case editrici si attrezzino per esportare e importare lavori del genere? Forse la risposta è cosi’ implicita da vergognarsene quasi: perché a loro interessa vendere. Poco importa se con materiale scadente che pero’ piace. E altro punto: cosa ne sarebbero delle piccole case editrici, solitamente quelle piu’ attente a certi autori e a certi titoli, se le grandi case editrici sapessero lavorare con tanta passione, scrupolo come fanno loro? Beh, forse non esisterebbero. E questo sarebbe il peccato piu’ grande. Grazie a Mattioli 1885 e grazie a Nicola. Attendiamo ora altri lavori, altre sorprese, altre serate come questa. Perché anche il gelo piu’ implacabile, non potrà fare nulla contro il calore che emana una lettura speciale.

3 commenti:

Giorgia ha detto...

amore hai preso appunti come un vero giornalista per scrivere tutto sto popò di roba?! ^^
bellissimo commento.. dev'essere stato davvero un bell'incontro!! peccato non ci fosse Giorgia.

Matteo ha detto...

Si ho preso appunti. Alcuni pezzi sono virgolettati di Nicola Manuppelli, che ha raccontato Dubus, in maniera splendida. Sarebbe bello approfondire la questione. Magari una volta che sarai anche tu e l'altra Giorgia:-)

Giorgia ha detto...

io non sono degna!!!!