Non abitiamo piu' qui - Andre Dubus

martedì 29 dicembre 2009

Per parlare di questo libro è necessaria prima di tutto un’operazione preliminare: prenderne le misure con attenzione e mantenere una certa distanza di sicurezza, sceglierne l’angolatura giusta e attendere che la lettura faccia il suo effetto.
Sono tre racconti lunghi o romanzi brevi, dipende da come si voglia definirlo, tre racconti che si intersecano, si concatenano, hanno una continuità di lettura l’uno rispetto all’altro, tutti e tre presentano con sfumature di presenza diverse gli stessi quattro grandi personaggi: Jack, Hank, Terry e Edith. E saranno loro 4, due coppie di grandi amici, lungo i tre racconti, a narrare dal proprio punto di vista gli eventi che inevitabilmente li legheranno l’uno all’altro piu’ di quanto si vorrebbe e che cambieranno un po’ le prospettive per tutti quanti, da un certo punto in poi.
Il centro di gravità permanente non è il matrimonio.E’visto come istituzione della famiglia e garanzia di felicità?. No, appare piu’ come una condizione distruttiva piu’ che costruttiva, alienante piu’ che unificante, come una sorta di dolce arresto domiciliare dal quale si fa fatica a fuggire perché ci si è resi conto che è frutto nient’altro che di un errore commesso o di una leggerezza fatta, piu’ che di un progetto pensato ed edificato. Ci si sente di dover pagare, con in piu’ gli interessi, un passato troppo poco pensato e fin troppo velocemente agito. Perché i giovani vogliono tutto e subito, ai giovani basta una realtà seminascosta per trasformarla in un tutto fin troppo facilmente visibile e in una certezza, di cui non dubitarne minimamente mai.
Due coppie di ragazzi trentenni, Jack, Hank, Terry e Edith, scelte frettolose dettate da un sentimento del momento che li ha travolti e li ha portati a trovarsi sotto un unico tetto con dei figli a carico, sembra di aver raggiunto la perfezione , ma i sentimenti , che forse non erano tali come si credeva all’inizio, cambiano come un vortice che spazza via ogni certezza che sembrava incrollabile, paure, incertezze pesanti che portano all’esasperazione di tutto, sesso come valvola di sfogo, non importa con chi basta farlo fingendo anche di amare un po’ tutti basta che che quei tutti sappiano portarti via anche solo per un momento dall’insostenibile pesantezza di una quotidianità che svilisce ogni tipo di stimolo e vitalità. E questa per loro basterebbe per essere la piu’ meravigliosa delle dichiarazioni d’amore eterno.
Dubus è una penna penetrante, estremamente potente, un forte braccio di una ruspa che scava, scava, scava e si trova come nulla fosse nelle viscere che si credevano inviolabili e inesplorabili dell’essere umano. Entra in contatto con i nervi, e fa male, molto male appena vengono toccati. Sembra che la speranza non ci possa essere, che l’adulterio in realtà non sia altro che una fuga verso una libertà che ci si è resi conto di aver perso per strada sposandosi e che la vi suole riottenere a ogni costo. Già, ma i figli. Che fine faranno. E cosi’ si mente, si finge che non ci sia alcunché che non vada. Si finge con se stessi, con la/il propria/o consorte. Ed è inevitabile fingere anche con i figli. Per salvaguardarli. Si ma da cosa? Da un semplice rinvio del faccia a faccia con la realtà, che prima o poi verrà riscuotere i suoi crediti? E le lacerazioni interiori sono sempre piu’ in procinto di esplodere, dopo che per tanto tempo si è finto che fossero cose da nulla. Con il rischio di abbattere con una violenza terrificante tutto quanto. Quando prima, forse, ci sarebbe potuta essere, la possibilità di frenarsi e di metterci una pezza. In realtà questo freno a mano disperato c’e’. Il matrimonio visto da Dubus nel libro come un disegno che spesso viene limitato a schizzi e pennellate buttate alla rinfusa su una tela bianca, è certamente un fallimento ma che in qualche modo puo’ avere un senso anche dopo che è terminato. L’amore per i figli ad esempio. Come nel caso di Hank, ma anche di Jack e di Terry. Per i figli si tenta anche l’impossibile, ricucire certi rapporti ormai compromessi, come nel caso di Jack e Terry.
Il dolore, la sofferenza è inevitabile, per Hank che disconosce la monogamia e Edith a un certo punto dice che se lo avesse saputo prima non lo avrebbe sposato e qui è presente tutto il dramma non solo del non conoscersi abbastanza ma del non conoscersi affatto, Hank che docente universitario e scrittore, è assorbito quasi completamente dal suo lavoro, scrivere romanzi e dalle sue studentesse. Edith a un certo punto dirà, ma mio marito vive la sua vita molto piu’ lontano da me che non con me. Edith che, vendetta personale o semplice conseguenza dell’assenza del marito che le toglie quelle attenzioni del sentirsi donna che ogni donna ha bisogno, intreccia relazioni a destra e a manca, innamorandosi anche di Jack. E ognuno si sente tradito tradendo e tradendosi sembra l’unico percorso possibile per dimenticare per un momento tutta la precarietà dei loro equilibri che stanno cercando di ritrovare. Non pensando che rinviando il faccia a faccia con la realtà, non si fan che peggiorare ulteriormente la propria posizione di profugo dalle responsabilità. Jack che si innamora di Edith ed è convinto di non amare piu’ Terry e glielo annuncia anche frontalmente, direttamente, senza spendere troppe parole a riguardo. E non si capisce poi se alla fine le lacrime che sgorgano dal viso di tutti i protagonisti siano lacrime di tristezza, siano lacrime di un orgoglio ferito e quindi esente da sentimenti veri, oppure se siano una reazione meccanica dettata da una situazione in teoria irrisolvibile.
Nonostante cio’, Dubus vede nei suoi personaggi sempre comunque un gesto che potrebbe salvare le loro esistenze. Una redenzione, un riscatto. Li difende da possibili linciaggi morali, li guida e li incoraggia, per cosi’ dire, a prendere coscienza di certi fatti ormai ineluttabili, e consiglia loro, di avere il coraggio di prendere certe decisioni, anche se questo vorrebbe dire perderci qualcosa tutti quanti. Il microcosmo raccontato da Dubus, puo’ essere esteso e potrebbe essere già presente per certi versi in molte case della gente. Verso i suoi personaggi Dubus dimostra un grande affetto. Non li condanna, anzi per certi versi li assolve completamente. Dubus poi continua a evidenziare molto l’eros, il lato fisico, passionale. Il “fare l’amore” è ripetuto innumerevoli volte che è complicato tenerne un conto, e non lo esprime con il “fare sesso”. Ma l’amore. Un sentimento che appare per la verità confuso, ambiguo, fin troppo leggero e con troppa facilità da comunicare alla persona con cui ci si trova in quel momento. Il libro si conclude con una bellissima immagine di speranza, quella, se possibile, di proiettarsi in avanti, anziché retrocedere in un passato lasciato alle spalle e che non dovrebbe essere piu' ripescato, con cui farne continuamente i conti a oltranza. Servirebbe, solo nel caso si partisse dagli errori commessi per ridare luce alle proprie esistenze. Perchè in fondo, a 30 anni, c'e' ancora tutta una vita intera da vivere.
Nel libro si troveranno tantissime citazioni letterarie, musicali, cinematografiche, quindi si leggono parole ma si anche libri, si ascoltano sfondi musicali e si scorrono anche delle immagini, come un videoproiettore.
Ci sono momenti toccatissimi, momenti in cui il lettore proverà un ventaglio di sentimenti estremamente eterogeneo, quali rabbia, disarmo, disorientamento, compassione, pietà, sbigottimento, altri momenti in cui si vorrebbe fare una bella lavata morale di testa ai personaggi, costringerli a fermarsi, a riflettere, a ripensare alle conseguenze delle proprie azioni. E ci si incazza. Forse senza neanche riuscire ad accorgersi che nello specchio delle loro azioni potrebbe esserci un po’ anche di nostro. E alla fine è proprio questo lo stato d’animo del lettore: come si puo’ giudicare?

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