Novità: Judenrampe - Gli ultimi testimoni

sabato 30 gennaio 2010

Questo libro raccoglie le testimonianze di sopravvissuti ai campi di sterminio nazisti che al momento della deportazione avevano un’età compresa tra i dodici e i vent’anni. Ogni giorno, tra l’inverno del 1943 e la primavera del 1945, hanno vissuto sulla loro pelle il male assoluto, quello che lascia tracce indelebili, che distrugge e annichilisce senza un motivo.

Sono usciti vivi da Auschwitz-Birkenau, Mauthausen, Dora, Ebensee, Dachau, Buchenwald, Ravensbrück, Bergen Belsen nonostante il lavoro forzato, la fame, il freddo, le botte, gli esperimenti, gli appelli, le selezioni, le marce. Tutti loro, all’epoca adolescenti, richiamano alla memoria l’istante in cui sono stati separati dai loro genitori, l’ultimo abbraccio, i baci e le urla. E poi l’inferno: quando tennero lo sguardo fisso sui piedi per non vedere, quando videro i soldati giocare al tirassegno con i bambini, quando videro i compagni di prigionia morire a pochi minuti dalla liberazione, quando non furono creduti al loro ritorno a casa. Tra le testimonianze raccolte da Anna Segre e Gloria Pavoncello ci sono ebrei catturati in Italia, a Fiume, a Rodi, in Grecia, in Ungheria, in Libia, oppositori politici e militari sconfitti, ci sono le loro voci in presa diretta che scavano nella memoria per restituirci non l’accurata ricostruzione storica di quegli eventi, ma gli istanti in cui persero la loro innocenza. Oggi, a distanza di oltre sessant’anni, queste parole sono un documento prezioso, l’ultima prova tangibile di una crudeltà che non dobbiamo dimenticare. Quando il ricordo dello sterminio nazista sarà affidato esclusivamente ai libri di storia, ai documenti, alle foto, ciascuno di noi non dovrà permettere che “la Shoah faccia la stessa fine delle guerre puniche, che se ne parli senza emozione”.


Anna Segre
Judenrampe
Gli Ultimi testimoni
Collana: Antidoti
Pagine: 217
Prezzo: 17,50 euro


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Addio, J.D., ora finalmente scoprirai dove finiscono le anatre di Central Park


A volte ci si attacca con tutte le proprie forze all'illusione che certe persone siano immortali, destinate a rimanere sempre al nostro fianco.

Lui è stato il mio primo libro, il mio primo passo verso una lettura consapevole e vissuta. Poco importa se poi è passato piu' di un decennio da un nuovo incontro, questa volta definitivo, con il libro.

La prima volta non si scorda mai. Ti segna.

Vorrei ricordarlo con un suo splendido aforisma sulla lettura.

«Quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere e tutto quel che segue vorresti che l'autore fosse tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira.»

Ecco, grazie di tutto. Mancherai a tanti.
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Rubrica: Le copertine piu' belle

venerdì 29 gennaio 2010


Dalle copertine si puo’ capire molto o abbastanza di cosa riserverà poi il contenuto.

Non so esattamente quale sia il processo di selezione delle copertine nei libri, ma certamente la capacità di simbolicità, iconicità e di libera interpretazione dell’immagine, del disegno, dell’opera trovano il lettore sempre molto disposto al gioco di decodifica. Ci sono copertine banali, scontate, che non piacciono perché il motivo della scelta è fin troppo evidente, altre molto belle all’interno delle stesse ci sono quelle che hanno una correlazione abbastanza semplice con quello che il libro poi racconterà e quelle che si muovono di piu’ sul piano dell’ambiguità, della sottigliezza, dell’essere cruciverba, piuttosto oscure.

La copertina è attirare attenzione, ha in sé un potere commerciale di straordinario impatto. E a volte l'abuso che ne viene fatto è veramente impressionante. Questo secondo me vale anche per il titolo che viene scelto, se poi accanto c’e’ anche il nome dello scrittore che è un nome da urlo, l’esplosivo della vendibilità di quel libro diventa pressoché impossibile da disinnescare.

Il Mondo dopo la fine del mondo, è uno di quei libri che già dal punto di vista dell’impatto visivo domina la sfilza di libri di cui è circondato nello scaffale in libreria. Domina lo spazio, per il movimento caotico che muove la copertina quasi come se volasse indisturbata e senza criterio, le da slancio, ha un qualcosa del 3D, decisamente inquietante, probabilmente arricchita da qualche figura allegorica messa li per avviare il gioco di decodifica appunto col lettore. Io personalmente, un libro cosi’ l’ho adocchiato (e mi ha folgorato) da un lato all’altro della libreria. E non è una libreria qualsiasi, è la Feltrinelli, stracolma di libri, molto ampia, ricca di distrazioni visive.

Trovo che un’altra spinta alla lettura arrivi decisamente dalla titolazione scelta. IL MONDO DOPO LA FINE DEL MONDO. Innegabile che sia un titolo di grande appeal, di grande impatto, che richiama a un dopo che si fa fatica a immaginare. E immagine + titolo nell’immaginazione potenzialmente sconfinata del lettore, in questo caso non puo’ non toccare i nervi giusti. Io personalmente, ho avuto un richiamo d’impatto, improvviso, l’occhio si è andato immediatamente a posare sulla copertina, e poi immediatamente all’interno per soddisfare una curiosità che non poteva piu’ ormai a quel punto essere abbandonata e disattesa.

Anche il nome dell’autore, in questo caso la sua pronuncia inglese che è quasi un mix tra Hemingway e Thomas Hardy, appare subito allo stesso tempo come un suono tanto familiare quanto esotico, con una sete addosso di provarlo, di avvicinarcisi, forte e irresistibile quasi come quando in piena estate a 40 gradi ci viene offerto un cocktail di frutta al cui interno non si sa in realtà cosa ci sia stato messo. Ma colore, l’odore, la curiosità e la sete sono richiami irresistibili. Provare lo sconosciuto: attrazione fortissima. Ecco, io ho provato una sorta di sensazione simile appena adocchiato questo libro. 19 euro, sono tanti. Troppi. Si puo’ sempre aspettare, anche se non poco, l’edizione economica. Nel frattempo, il libro continuo a leggerlo in copertina. Cercando di intuire cosa ci possa essere dentro di tanto magico. Magari, riesco pure a pensare a una storia tutta mia a partire da questa straordinaria copertina.

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Guai a toccare il libro cartaceo

giovedì 28 gennaio 2010

E' di questi giorni la presentazione del nuovo I-pad della Apple che punta a sradicare il libro cartaceo a favore di quello elettonico.







Il libro? No, un mezzo elettronico


L’uso delle dita e della mano ad aprire il libro e sfogliarlo come e quanto vuole? No, fa tutto il cursore e un click leggero su qualche pulsante

Sottolineare, incollare un post-it come promemoria e scrivere ai margini una nota? No, lo schermo non te lo permette, ti tiene a distanza. E’ distaccato da te. Tu sei un’estraneo per lui, e lui per te?

La copertina, colorata, la leggerezza di una pagina? No, un semplice file scorrevole

Il possesso fisico del libro? Nel libro cartaceo c’è, guardi la tua libreria ed è là. Nell’e-reader? Dov’è la tua libreria? Nei megabyte, nei gigabyte.

Per il libro cartaceo non serve un libretto d’istruzioni sul come leggerlo

Se cade per terra, il libro non si rompe in mille pezzi

Il libro puo’ sciuparsi, invecchiare, ingiallirsi, segna il tempo e il suo proprietario. L’e-reader? Ovviamente no.

Per acquistare un libro si va in libreria. Probabilmente qualche anno ancora e per leggere l’e-reader basta un click da casa per comprarsi un libro. La libreria potrebbe non esistere piu’, siete contenti cosi’? Io no.

Io ho un libro. Uno che legge l’e-reader cosa dirà? Io ho quel file? Tristissimo.

Il cartaceo ha odore della carta e dell’inchiostro. L’e-reader? Completamente nuovo.

Vuoi regalare un libro a un amico e vuoi fare la dedica in seconda pagina? Col cartaceo si puo’. Con l’e-Reader?

Incontri il tuo scrittore preferito, hai a portata di mano un suo libro e glielo fai firmare e autografare. Quel libro ora avrà un valore enorme per te. Con l’e-reader? Impossibile personalizzarlo.

Certe edizioni cartacee sono meravigliose, sono diverse le une dalle altre. Nell' e-reader invece?

Tra un po’ anche i raduni anobiiani si sposteranno dalla strada al raduno elettronico in una chat?

Ci sono cose in cui la tecnologia aiuta. Ma altre cose in cui non puo’ e non deve entrare, a mio parere, perché non se ne sente il bisogno. E questo è uno dei casi. Speriamo ci possa essere ancora la possibilità di scegliere il cartaceo e non essere obbligati a uniformarsi tutti, come robot, a una lettura estraniante.
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Critica letteraria vs Anobii

mercoledì 27 gennaio 2010

A cosa serve il critico letterario? E’ di questi tempi, specie dopo l’uscita nelle librerie del libro su Anobii, un dibattito infinito sul ruolo di primato e esclusività del critico letterario, sempre piu’ spodestato dal proprio trono di solo recensore ufficiale dei testi letterari dalla crescita vertiginosa non solo del numero di utenti su anobii e dei libri letti (numeri spaventosi, in senso positivo ovviamente) ma anche da una sempre maggiore competenza e profondità di analisi del lettore medio, che in silenzio punta a sottrarre ai vecchi recensionisti di livello il ruolo di divulgatore di opinioni.


Io personalmente, dall’esperienza che ho provato leggendo queste critiche letterarie “ufficiali” su giornali, riviste e quant’altro, sono del parere che non servano granchè. Che il loro linguaggio spesso sia oscuro, eccessivamente ricercato, ridondante, ripetitivo e in alcuni casi molto aleatorio (per dirlo in parole semplici: molto fumo e niente arrosto), tutte cose che infastidiscono il lettore che invece cerca nella recensione degli spunti, una spinta a leggere quel libro, uno stimolo che ti faccia correre in libreria ad acquistare quel volume. Tra l’altro il dubbio sulle amicizie editoriali o del scrittore stesso con il critico, inquadra ai miei occhi non molto affidabile la garanzia di imparzialità e di professionalità di chi dovrebbe in linea di principio essere distaccato nell’analisi di un libro. E’ questa la differenza tra un lettore in quanto tale e un lettore che ufficialmente viene pagato per scrivere recensioni critiche (e quindi si da per scontato di essere portatore di un bagaglio di conoscenze specifiche e di lunga data per fare cio’ che fa): il sentimento, l’emotività trasmessa da un libro è inevitabile che ci sia anche in un commento ufficiale, ma certamente deve essere da una parte contenuto nella sua natura ufficiale, dall’altro pero’ non deve neanche sparire completamente perché altrimenti si legge un saggio scientifico e non un giudizio critico su un libro. Purtroppo non ci sono critici che sappiano navigare a vista tra questi due estremi, con equilibrio, soppesando le due cose e creando un mezzo ibrido.

Io penso che le fonti importanti per il lettore siano ben altre che non una recensione di tono aulico o meno di un critico letterario: ad esempio il passaparola tra la gente, che ancora considero un mezzo di comunicazione straordinariamente efficace, o ad esempio anobii stesso è diventato una fabbrica di idee e un trapasso di stimoli, ispirazioni e nuove conoscenze immenso, che non accenna a arrestarsi e a evolversi col tempo. O un’altra fonte di idee, di consigli, che il lettore tiene particolarmente in considerazione è il proprio libraio di fiducia. Straordinario conoscitore del mondo del libro e altrettanto straordinario lettore, almeno quelli bravi, appassionati e che hanno una grande spinta comunicativa con la loro clientela, mette a disposizione il suo enorme magazzino di conoscenza al servizio del lettore, indirizzandolo su certe letture a partire da una conoscenza abbastanza profonda delle preferenze di lettura del suo cliente abituale. Alla gente, come me del resto, passa sotto silenzio il giudizio prestigioso che non appare mai come un consiglio spontaneo e che proviene dal cuore, ma che appare come una sorta di messaggio autoreferenziale, freddo. Alla gente piace il consiglio caldo, idee che nascano dal nulla, dalla frequentazione di un luogo (fisico o virtuale) nel quale si respira fortemente spontaneità, genuinità (anche nel linguaggio) passione travolgente, senza preoccuparsi di trovare le parole giuste e contenute per esprimere un giudizio su un libro che ti convinca ad acquistarlo e a iniziarne subito la lettura. Il lettore ha bisogno di sentirsi concittadino del libro con un altro lettore, una condivisione straordinaria che esalta il proprio senso di appartenenza a un mondo bellissimo e irrinunciabile.

Con il critico letterario io mi sento parte di un mondo diverso e molto lontano dal suo. Poi è chiaro come in ogni cosa, esistono anche le loro belle eccezioni che ti fan credere al miracolo. Esistono anche critici letterari, pochi, ben pochi a dir la verità, che sentono le necessità del lettore e sanno regolarsi in tal senso ad accogliere le richieste dei lettori che gradirebbero testi meno articolati, meno complessi, meno convulsi ma piu’ sentiti, piu’ semplici, piu’ diretti in una recensione. E ai miei occhi questi critici diventano anche piacevoli da leggere. Ma purtroppo è l’eccezione, non ci troviamo di fronte alla regola.

La critica ufficiale trema dinnanzi alla crescita esponenziale di numero (ma anche di qualità) del fenomeno Anobii, in cui tutti potenzialmente sono critici ma in quanto narratori, testimoni della propria esperienza di lettura, dove non ci sono limiti di spazio, di parole, e dove non c’e’ una sorta di vocabolario limitato da poter utilizzare. “Il secondo me” nel lettore esiste e diventa una sottolineatura e una presenza fondamentale, apprezzata, nel critico spesso no e questo designa una sorta di aurea giudicante inattaccabile che presuppone oggettività, che non potrà mai esistere tra i libri. Come in un quadro. Cio’ che è bello per me, è magari scabroso per un altro: inutile cercare l’epicentro di valutazione. Non esiste.

Oggi a livello di critica letteraria, forse in alcuni giornali si è capito che è bene staccarsi un po’ dal vecchio e affacciarsi al nuovo. Sono diminuite le stroncature pesanti dei libri da parte dei critici letterari, sono diminuiti pezzi infinitamente lunghi in cui si analizza microscopicamente un libro e sono aumentate esponenzialmente le pagine di cultura in cui semplicemente si consigliano i libri da leggere, inserendo poche righe di commento che in realtà spiegano ben poco, l’essenziale. Diciamo che oggi il lettore, a parte qualche rara eccezione (Tuttolibri de La Stampa, e le pagine di La Repubblica e L’Espresso), deve fare da sé, non puo’ contare piu’ molto sull’aiuto di gente esperta. Per tanti motivi: perché lo si fa sempre di meno, perché quando lo fanno ancora annoiano con una prolissità che stanca. E il fare da sé, forse aiuta di piu’ a trovare il proprio percorso di lettura che non attraverso una guida che ti indica la strada di cosa leggere e cosa non leggere.

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Puntata numero 1: Chi butti giu' dalla torre?

martedì 26 gennaio 2010



Come due gangster che lottano senza esclusione di colpi per un territorio ambito, su cui dispiegare il proprio potere di controllo della zona, come nel gioco della torre da cui bisogna spintonare giu’ una delle due opzioni e salvare l’altra. E’ sempre dura primeggiare, è sempre dura averla vinta, è sempre dura superare il proprio rivale.


E cosi’, come due persone che giocano a tira la fune, ecco che in base a un carattere comune che li lega e li rende paragonabili, ho deciso che di volta in volta mettero’ a confronto due libri e decidero’ quale dei due prevalga sull’altro, quale dei due terro’ sulla torre e quale verrà catapultato giu’.

Oggi la prima manche è dedicata a MERIDIANO DI SANGUE di Cormac McCarthy e AMERICAN PSYCHO di Bret Eston Ellis. Due libri che hanno in comune il fatto di essere tremendamente sanguinari, violenti, duri e crudi, implacabili. Ma con due ambientazioni antitetiche, personaggi molto diversi tra loro e due penne anch’essere profondamente contrastanti.
Scelgo MERIDIANO DI SANGUE del Premio Pulitizer per la Letteratura Cormac McCarthy perchè la sua inequivocabile durezza è accompagnata da una magistrale fotografia paesaggistica alla quale non si riesce resistere. Il sangue è il colore vero del cielo, del tramonto, anche metaforico dell'esistenza. Esistenze brutalmente interrotte, senza speranza. Se non quella di poter sopravvivere un giorno in piu'.
Ho preferito il selvaggio della steppa all'ordine maniacale della metropoli, ha prevalso la violenza sporca a quella calcolatrice, ha primeggiato una scrittura asciutta, essenziale, diretta ma calda, caldissima a una eccessivamente ricca di termini e piu' fredda.
Ecco perchè tra i due mi tengo MERIDIANO DI SANGUE e faccio rotolare giu' dalla torre AMERICAN PSYCHO.
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Cos'è la lettura?

lunedì 25 gennaio 2010

E' dipendenza, quando ti circondi di libri non ne puoii piu' fare a meno. Anzi, appena leggi ne vuoi sempre di piu'. Quasi sacrificando il proprio spazio per darlo a loro, i libri.


Leggere è anche prendere il volo. E volare chissà dove. Sentirsi cittadino di tutto...Vedere le cose da un altro punto di vista.




E' vedere libri ovunque...




E' sentirsi padrone di un mondo tutto mio, da dove non ho paura di cadere,  una delle poche cose che mi garantiscono equilibrio



E' arte nell'arte



E' rilassante, ti riconcilia con il mondo. Che in realtà è un mondi in gran parte di merda.




Non puoi non trovare un appoggio nel libro




E i libri regalati, sono quelli che ti danno una spinta in piu'






E' volersi molto bene



Ma leggere puo' anche portare a vivere momenti imprevedibili




Ma leggere è soprattutto un diritto inalienabile dell'uomo, è l'inno alla Libertà


La lettura per me è una passione sconfinata. Nessuno mai me la potrà togliere


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Storie sul calcio

sabato 23 gennaio 2010

Racconti di: Andrea Cisi, Tommaso Giagni, Carlo Carabba, Francesco Pacifico, Luca Mastrantonio, Osvaldo Capraro, Vittorio Giacopini, Stefano Scacchi

In Ogni maledetta domenica il mondo del calcio viene raccontato «dall’interno» come non avviene mai sui quotidiani o nelle trasmissioni televisive. Otto scrittori si addentrano nei chiaroscuri del nostro sport nazionale. Tommaso Giagni si mescola tra gli ultras della Lazio alla ricerca di una verità sull’omicidio di Gabriele Sandri. Stefano Scacchi segue i talent scout delle grandi squadre a caccia di campioni tra favelas e campetti di periferia. Luca Mastrantonio ripercorre fasti e rovine del Milan di Berlusconi, e Vittorio Giacopini insegue la leggenda di Bora Milutinovic´, l’allenatore «zingaro» che risollevava le sorti delle nazionali più povere del terzo mondo. Carlo Carabba mette sotto il microscopio il calcio geneticamente modificato ai tempi della pay-tv, e Andrea Cisi ci racconta la calda, folle, insostituibile esperienza di un pomeriggio allo stadio Zini tra i tifosi della Cremonese. Francesco Pacifico decostruisce splendori e miserie del «caso Balotelli», mentre Osvaldo Capraro mette in scena una luminosa parabola fatta di calcio, violenza, colpa e redenzione.

Otto racconti appassionanti vengono a dirci che – alla vigilia dei primi mondiali africani – quello che un tempo fu un semplice sport è oggi, nel bene e nel male, lo specchio fedele del nostro mondo e dei nostri sentimenti più profondi.

Ogni maledetta domenica

Otto storie di calcio
281 pagine
ISBN 978-88-7521-244-5
Prezzo di copertina: € 15
a cura di: Alessandro Leogrande
introduzione di: Alessandro Leogrande
illustrazione di: Luigi Bicco

Recensione su affariitaliani.it: http://www.minimumfax.com/video/2010/1/ognimaledett_affaritalia_16gen2010.pdf

http://www.minimumfax.com/
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Cinema e giornalismo

“Print the legend” sono parole che John Ford fa pronunciare a un giornalista in L’UOMO CHE UCCISE LIBERTY VALANCE.

Il giornalismo è “print”, ovvero stampa, intesa nel suo atto conclusivo e definitivo di messa in opera e, successivamente, di distribuzione a una società pronta, e quanto mai bisognosa, a informarsi.
Ma il giornalismo è anche “leggenda” perché racconta storie che contribuiscono a fare la storia, che saranno poi un vero e proprio punto di riferimento per le persone e la civiltà in generale.

Chi meglio del cinema e dell’immagine in movimento, si autoincarna come il miglior narratore possibile di una professione cosi’ affascinante ma anche tanto controversa nel corso della sua storia?
In questo splendido corollario di film, citazioni e saggi, a cura di Giorgio Gosetti e Jean Michel Frodon, con illustri cineasti, giornalisti, filosofi, critici pronti a offrire il loro importante contributo per creare un’idea solida, approfondita e fondata su basi autorevoli della professione giornalistica nel cinema, si approccera’ al Grande Schermo che racconta di giornalismo attraverso modalità e punti di vista tra i piu’ disparati.

Ad esempio la relazione cinema-giornalismo viene vista da un punto di vista morale, domandandosi fino a che punto il giornalismo è una professione giusta ed eticamente corretta e quali sono i confini, a volte labilissimi, che dividono il corretto e l’irreprensibile dalla impropriazione indebita e violazione. Tema scottante anche oggi e che non cesserà mai di essere al centro di discussioni anche piuttosto accese a livello pubblico.

Oppure vengono analizzate molto attentamente le regole del genere (ambientazione, strumenti, caratterizzazione dei personaggi, tecniche di lavoro), quali debbano essere le coordinate tipo di un film sul giornalismo che non è ben inquadrabile in una precisa categoria, ma che tuttavia tende a racchiudere in sè per natura alcuni tratti comuni riconoscibilissimi. Ed è molto interessante, sotto questo punto di vista, notare come anche il giornalista, nel corso della storia, si evolva anche a distanza di pochi anni, di come l’intero sistema della professione cambi strumenti utilizzati, ideologia e modalità di operare nel concreto.

Durante il percorso guidato, ambizioso, all’interno del libro, ci saranno importantissime testimonianze concrete, ovvero i film che con le loro sequenze hanno fatto storia, esportando in tutto al mondo anche vere e proprie culture: da citare con rigore sono soprattutto QUARTO POTERE di Orson Welles e PROFESSIONE REPORTER di Michelangelo Antonioni che rappresentano due dei modelli di riferimento assoluto, per uno studio della materia credibile e ben fatto.

Ma come dimenticarsi di TUTTI GLI UOMINI DEL PRESIDENTE, CLOSE UP, LA CONVERSAZIONE, L’ASSO NELLA MANICA e SBATTI IL MOSTRO IN PRIMA PAGINA.

Il giornalismo è anche documentarismo, e a tal proposito il quarto capitolo è tutto dedicato al cinema che si veste da documentario, raccontando la Shoah o, ai tempi nostri, la società attuale con gli occhi di Michael Moore.
Sembra che il giornalista modello sia quello americano, visto nell’immaginazione collettiva come il padre fondatore della professione. C’e’ tutto un intero capitolo, molto interessante, sul professionista della carta stampata made in Usa. Made in Hollywood se lo associano contemporaneamente anche al cinema.

Da leggere fino all’ultima pagina e da gustarsi ogni minima sequenza riprodotta in immagini fotografiche che hanno fatto epoca, comprende anche un’approfonditissima filmografia dalla quale si possono trarre tantissimi spunti di visione.
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La SALC (Sindrome Acquisto Libri Compulsivo)

venerdì 22 gennaio 2010

Il termine SALC, coniato da i CORPI FREDDI, sta per Sindrome Acquisti Libri Compulsiva.

Ovvero, una dipendenza che annienta ogni difesa immunitaria del portafoglio, ovvero una forza irresistibile che colpisce dal di dentro e pertanto il peggior nemico da affrontare. Perché ti bracca, ti pedina, ti riempie di adrenalina in fase di avvicinamento a una libreria, il nemico è radicato nel lettore e si avvale dell’alleanza corruttrice con la passione che riduce al suo servizio ogni genere di razionalità fino a schiacciarla.

I lettori spesso tirano fuori la scusa, o un’autogiustificazione che ormai regge ancora per poco nonostante abbia verità e credibilità, del fatto che si spende per libri e in fin dei conti spendere per i libri significa spendere per la cultura e spendere per la cultura è sicuramente meglio che spendere per altre cose, e quindi spendere per la cultura significa investimento oculato e ragionato. Già, ormai si è sentita un’indicibilità di volte questa giustificazione tant’è che giunti a una ripetitività del genere dell’alibi al movente dovrebbe essere riconosciuto ufficialmente come “la scusa del lettore”. Una sorta di alibi inattaccabile per disegnare il delitto perfetto. E avere la coscienza pulita, soprattutto con se stessi.

Solo un lettore puo’ comprendere questa schizofrenia che acceca ogni buonsenso, ogni riflessione, ogni coscienza quando si è all’interno di una libreria. E’ vero, ormai i libri si trovano dappertutto, perfino alle poste, poco ci manca che li vendano pure nelle farmacie. E quindi ogni luogo, anche quello piu’ impensabile fino a non molto tempo fa, è un diavolo tentatore che si presenta sul palcoscenico improvvisando: come una macchina da presa che gira a 360 gradi, anche il lettore girandosi potrebbe annusare odore di libro e puzza d’acquisto ovunque. Perfino in autogrill, dove ci si ferma per benzina e per svuotare la propria vescica che urla disperata di darle retta, c’e’ una sorta di incontro inevitabile col libro. E nascono i guai: come nascondere l’ennesimo acquisto libresco a mio marito che mi sta aspettando in macchina? Come spiegargli che si è riusciti ad acquistare libri anche in autostrada? La frenesia della colpa commessa ti rapisce quasi dovessi nascondere il corpo di una persona assassinata con le tue stesse mani alla polizia sulle tue tracce, e pensi dove potresti nascondere il tuo ultimo trofeo conquistato. Dipende dalle dimensioni: un superpocket? Anche nelle calze, un cartonato gigantesco della mondadori? Ecco quello è ben piu’ difficile da farlo passare inosservato. Anche a un marito distratto.

Uomini che amate le donne che leggono: quando dicono “vado a fare la spesa all’Esselunga”, iniziate a insospettirvi. Pensate forse che il primo scaffale a cui accorreranno sarà quello della carne, del pane, dell’affettato, delle uova e del latte? Ma certamente no. Libri e riviste, si compra il passatempo e lo svago anche nei supermercati. La SALC è una “malattia” sempre piu’ in espansione, contagiosa solo per chi ha un codice genetico già destinato e predisposto a una passione inconfondibile per il libro che regala svago, informazione e conoscenze, un’immaginario che a volte si fatica a scindere dalla realtà, ma permette anche sfogo, consolazione, distrazioni da un soffocamento sociale che rischia di annientare la persona.

Quando si è in libreria, ci si guarda attorno ed è bello sentirsi in compagnia di persone che sai che hanno la tua stessa passione, è bello quando nelle piccole librerie si vedono parecchi scontrini battuti, gente che non riesce a stare in equilibrio sulle due gambe per la pila di libri che ha in mano accatastato l’uno sopra l’altro fino a quasi essere superato in altezza. Comprare, comprare, comprare, si hanno liste di arretrati interminabili a casa, ma si compra ugualmente perché forse anche nell’acquisto stesso del libro c’e’ passione: il rituale di andare in libreria, entrarci, vagare per molto tempo in mezzo a scaffali, leggere le trame, spostarsi da una sezione all’altra e tirare su qualcosa e pagarlo senza uscire a mani vuote, forse è un’esperienza irrinunciabile per il lettore. L’uscire a mani vuote da una libreria è quasi una sconfitta con se stessi. Ecco cos’è l’acquisto compulsivo. E’ l’istinto ad acquistare. Una bomba, difficile da disinnescare.
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E' proprio vero

mercoledì 20 gennaio 2010

Lentamente muore




Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni

giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marca, chi non

rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.



Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su

bianco e i puntini sulle "i" piuttosto che un insieme di emozioni,

proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno

sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti

all'errore e ai sentimenti.



Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul

lavoro, chi non rischia la certezza per l'incertezza, per inseguire un

sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai

consigli sensati. Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi

non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso. Muore lentamente

chi distrugge l'amor proprio, chi non si lascia aiutare; chi passa i

giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.



Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non

fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli

chiedono qualcosa che conosce.



Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo

richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di

respirare.

Soltanto l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida

felicità.



(P. Neruda)
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Il riccio dal libro al film

martedì 19 gennaio 2010


Da poco è uscito nei cinema IL RICCIO, trasposizione cinematografica dell’omonimo (o quasi, visto che in Italia c’e’ la fastidiosa tendenza a modificare sempre e comunque il titolo originario del libro nel convertirlo in film) libro di Muriel Burbery, autentico caso letterario, almeno nelle vendite, in mezza Europa.


Il giudizio è fortemente, e inevitabilmente, influenzato da una valutazione comparativa tra la lettura del libro e la visione del film. Diventa automatico. E tra i motivi per cui preferisco leggere prima il libro e poi vedere il film, e non viceversa, c’e’ proprio anche questo: il giudizio per me ricade piu’ pesantemente sul film che non sul libro, quando si legge il libro prima e si vede il film poi, perché da parte del lettore c’e’ un’intrasingente pretesa che l’immaginario creato da chi ha prodotto e girato il film sia il piu’ possibile combaciante con quello creato, senza influenze di alcun tipo, dalla immaginazione, creata dalle parole, del lettore durante la lettura. Io stesso pretendo sempre moltissimo dai film tratti dai libri, perché considero un vero e proprio oltraggio quasi alla morale artistica, trasformare il contenuto del libro in un’ opera cinematografica modificata o addirittura ribaltata, rovesciata, snaturata rispetto alla storia, ai personaggi, all’ambientazione del suo collega cartaceo.

I critici dicono che oggi siamo sommersi da film tratti da libri perché manca l’idea e l’input, manca l’originalità e dunque anche la creatività. Appoggiarsi a un lavoro già fatto da qualcun altro per renderlo immagine, a loro modo di vedere rappresenta un mezzo scippo. Io ritengo che comunque la resa per immagini di un testo scritto sia assolutamente un lavoro non indifferente e non andrebbe ridimensionato in tal senso il lavoro di chi se ne occupa. Perché scrivere la sceneggiatura ha il valore medesimo della scrittura di un libro e va adattato in qualche modo al diverso medium che ne sfrutta il contenuto.

Ci sono film lunghi 3 ore, stupendi, tratti addirittura da racconti di una 20ina di pagine ciascuno. Esempio è IL CURIOSO CASO DI BENJAMIN BUTTON tratto da LO STRANO CASO DI BENJAMIN BUTTON di Francis Scott Fitzgerald.

Tornando al film tratto dal romanzo di Muriel Barbery, che peraltro la stessa scrittrice ha criticato aspramente, trovo che sia un esempio importante di come il cinema venga in aiuto anche a rivalutare in positivo l’opera cartacea, nonostante si sia prese alcune libertà. A me ad esempio è piaciuto molto di piu’ il Riccio cinematografico che non quello letterario.


Mi sono piaciuti molto i personaggi, vivi, profondi e intensi, che secondo me vengono arricchiti dall’immediatezza della parola parlata e dall’aiuto dell’immagine, rispetto alla lettura. Paloma’ è irresistibile, Ozu un personaggio di grande umanità e saggezza, Renee il dottor jakyll e mister hide che fallisce nel suo tentativo di celarsi dietro l’apparenza, i gatti che occupano una posizione di privilegio nel film, cosi’ come anche nel libro. Il palazzo, un microcosmo che rischia di venir considerato rappresentativo del macrocosmo, per la verità un po’ enfatizzato e un po’ caso-limite. L’immagine di Renee, Palomà e dell’edificio era perfettamente in linea o quasi, con quello che la parola ha creato nella mia costruzione delle immagini, dei volti, delle voci, delle situazioni.

Un film poetico, filosofeggiante (ma molto meno ostentato del libro dove la Burbery esagera nel voler incantare con le proprie capacità di scrittura, a tutti i costi), molto delicato nella sua profonda analisi della natura umana fatta di debolezze, zone oscure, ambiguità, paure. Un film estremamente comunicativo, nell’accezione positiva del termine si intende. Non retorico, non ipocrita, urla il disperato bisogno di libertà e di sentirsi se stessi in questo mondo. E la conclusione ne è la dimostrazione: reale, benché crudo. Conclusione che nel film , rispetto al libro, trova un leggero allungamento nei tempi. Di pochissimi minuti, ma quanto basta per non passare ai titoli di coda con il buio piu’ totale.

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La Shoah a Fumetti - Rimini 9-30 gennaio 2010

domenica 17 gennaio 2010



Cartoon Club e Festival Internazionale del Cinema d’Animazione e del Fumetto di Rimini, in collaborazione con il Comune di Rimini, Progetto Educazione alla Memoria, hanno organizzato una splendida esposizione, con tanto di possibilità di reading di gruppo aperto anche e soprattutto alle scuole, inerenti la Shoah nel fumetto. “LACRIME, LUPI E TRAGICI TOPI. COME I FUMETTI HANNO RACCONTATO LA SHOAH”, titolo eloquente e piu’ che mai drammatico, perché tragicamente serio è stato il massacro umano realizzato dalle macchine di morte naziste.
Due sale della splendida Biblioteca Gambalunga di Rimini accolgono i visitatori a una lettura diversa, e piu’ profonda, della scrittura per immagini.
Fumetti e storia, in particolare fumetti e Shoah. Rapporto sempre piu’ ambizioso, sempre piu’ stretto, sempre piu’ profondo, che non ostenta l’impianto grafico e non si arroga il ruolo di narratore privilegiato ma semplicemente intende aggiungersi come arte che si mette al servizio della funzione documentaristica. Il disegno che si fa sempre piu’ carico di fotografia di frammenti di storia, narratore di momenti incancellabili, di vite spezzate, di dolore eterno, sembra piangere con contenuta disperazione con i suoi colori radicalmente in bianco e nero, come a voler dimostrare che il colore mancherebbe di rispetto alla memoria.
Per molti che han vissuto quei momenti drammatici, è quasi impossibile raccontare quelle esperienze che hanno forzatamente cambiato le loro esistenze (non solo di chi non c’e’ piu’ ma anche di chi ha avuto il privilegio di sopravvivere, ma a che prezzo, ci si chiede). Ci si blocca ancora prima di entrare nell’ordine delle idee di ricostruire quegli istanti, ciascuno sembrava durare secoli eterni. Figurarsi la fatica psicologica nel raccontarli.
Eppure, qualcuno ha trovato il coraggio di farlo e ha scelto il mezzo attraverso il quale cercare di trasmettere la propria esperienza: la matita, il disegno, il fumetto. Perché è un dovere morale riportare in superficie quel periodo nero, e ancora piu’ doveroso è conoscere e soprattutto non dimenticare.
Libri, film e quadri: tante opere di arte diversa hanno voluto fare da testimoni in prima linea dell’Olocausto, e perché mai non puo’ riuscirci il fumetto (o graphic novel)?
La piccola mostra, in essere dal 9 gennaio e che vedrà la sua chiusura il 30 gennaio, vede esposte strisce e copertine di diverse opere albi, seriali o vere e proprie graphic novel, affiancati da commenti e frasi chiave che il curatore (Davide Barzi) ha scelto con grande cura. Si leggono e si osservano in accompagnamento a quelle immagini di terrore che oggi accompagnano un po’ tutti e che hanno inferto ferite profondissime anche chi non sa cosa voglia dire quel periodo storico.
Ho trovato diversi fumetti seriali insospettabili parlare di questo tema, magari attraverso un solo numero, come Dylan Dog di Tiziano Sclavi (il titolo del numero è Doktor Terror), Wolverine e Martin Mystere. Addirittura, negli Stati Uniti, anche i supereroi non hanno fatto finta di nulla: Magneto,nemico storico di X-Men, evidenzia l’infanzia vissuta sotto l’ombra del nazismo
Tra le graphic novel da ricordare certamente Maus di Art Spiegelmann, opera biografica del vissuto del padre dell’autore, Auschwitz di Pascal Croci caratterizzato da grande pathos e una profonda documentazione storica, Yossel April 19, 1943 di Joe Kubert, con tavole a matita di grandissimo impatto emotivo. La metafora degli animali per raccontare l’Olocausto trova terreno fertile anche negli anni ’40 nel volume “La Betè est morte” , in cui Francois Calvo fa diventare Hitler un lupo. Ma c’e’ anche spazio per i bambini, ad esempio attraverso la STELLA DI ESTHER di Eric Heuvel: insegnare anche ai bambini, senza ipocrisia e senza nascondere loro la verità, è un altro dovere. Certo, con i mezzi e le parole giuste, ma senza far finta ai loro occhi che nulla sia successo.
Insomma, indipendente da che parte lo si guardi, diventa impossibile non partecipare con commozione alla visita di queste opere, che insegnano, inducono a una riflessione prolungata e ci urlano nelle orecchie e al cuore di non dimenticare. L’arte, infatti, mette da parte ogni tentativo di estetismo in nome di uno scopo molto piu’ nobile: evitare che il Mondo dimentichi quello che fu. Perché dimenticare, significherebbe far morire due volte le stesse persone.
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Rubrica: Le copertine piu' belle

sabato 9 gennaio 2010


La Elliot si dimostra sempre di piu', secondo il mio modesto parere, leader tra le case editrici italiane, per il confezionamento di copertine stilisticamente e graficamente splendide e anche durature (non si sfaldano le pagine, le copertine non si rovinano con facilità, pagine belle da sfogliare, caratteri piacevolmente leggibili senza difficoltà di vista, impaginazione ottima). Manco a dire il fatto che il catalogo è splendido con titolo e autori molto interessanti. E infatti in casa ne ho a bizzeffe di copie. Ho da poco Carnival Love, di Katherine Dunn. E la copertina, non posso non ammetterlo, è stato il primo biglietto da visita che mi è stato consegnato e ha avuto un successone ai miei occhi. Poi siccome oggi è bene non fidarsi al 100% dei soli elementi grafici decorativi, leggendo la trama e le varie recensioni qua e là su giornali e internet, mi sono deciso in definitiva del fatto che non poteva rimanere fuori dalla mia libreria. Ora la curiosità di leggerlo è tantissima, la copertina continua ad ammiccarmi continuamente come se si muovesse e mi chiedesse con insistenza, quasi sbuffando dall'impazienza di prenderlo in considerazione, di aprirlo e iniziare a immergermi nella lettura. Non vedo l'ora.
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I lettori possono infastidire a volte?

giovedì 7 gennaio 2010

I lettori a volte mi turbano, mi creano dei fastidi, mi solleticano e sollecitano un po’ il dente avvelenato. Perché se è vero che ogni lettore è diverso da un altro, e ha un corollario di atteggiamenti, gusti personali, manie, piccoli vizi e un approccio diverso al libro che legge, è anche vero che dal mio punto di vista, alcuni atteggiamenti si potrebbero anche nascondere, o meglio migliorare. Premetto che io ho molti difetti anche come lettore e magari riesco pure ad autoinserirmi in queste categorie che sto per criticare.

A me non piacciono ad esempio i lettori disordinati, coloro i quali lasciano i libri dappertutto, che trattano il proprio libro come un semplice oggetto da inserire da qualche parte alla rinfusa, in borsa, in uno zaino, su una mensola cosi’ abbandonato a se stesso, facendogli pieghe di ogni tipo, sporcandolo di ogni genere e specie di elemento e questo in nome di che cosa? Di una pseudo mancanza di tempo. Anche di fretta, impossibile non trovare 30 secondi per lasciare il proprio libro in condizioni almeno minime di sopravvivenza.

Un’altra tipologia di lettori che poco sopporto sono i lettori che snobbando certa letteratura snobba anche chi li legge, facendogli pesare il fatto di leggere porcheria, un non libro, roba miserabile, roba tale per cui non si merita la nostra considerazione. Atteggiamento snob che io ogni tanto pratico sui libri, ma non sulle persone e le loro scelte. Giudicare il gusto di una persona mi sembra decisamente un’eccesso di facoltà che non penso sia giusto arrogarsi. E ho anche partecipato ad accesissime discussioni infinite su questa cosa, in cui nessuna delle due parti in causa ha alla fine saputo venirsi incontro.

Ancora, i lettori che si vestono da critici letterari, li trovo un po’ fuori luogo, nel senso che leggere per criticare (non solo in senso negativo, ma anche critica nel senso di valutazioni che hanno la presunzione di vestirsi da oggettività) la trovo una perdita di tempo sottratta al piacere e all’estasi di una lettura, a cui ci si deve secondo me abbandonare completamente. Stare li a valutare con occhio critico implacabile virgole omesse, termine inesatto, capitolo per capitolo, frase per frase, porterebbe me a disinnamorarmi della lettura. Perché non riesco proprio a mettere attenzione e razionalità dentro a una lettura nella quale sono disposto ad abbracciare emozioni e trasporto, e a farmici cullare. Invidio chi sa essere trasportato e ad avere contemporaneamente l’occhio critico per non perdersi un solo minimo difetto del libro e condannarlo per questo. Anzi, non lo invidio sinceramente. Quindi questi pseudo-critici letterari a me non piacciono, mi da la sensazione che ricevano poco dalla lettura senza dare nulla in cambio. Una lettura cosi’ fredda e distaccata non fa per me. E i lettori che stroncano per il gusto di stroncare libri mi stanno ancora meno simpatici. Queste sono letture senza speranza, senza cuore, senza leggerezza.

Questo non è fastidio, anzi, ma è diciamo una semplice distanza dal mio essere lettore che è dunque assolutamente personale. Il lettore monogenere. Che adora quel genere e non legge altro che non sia o solo romanzi storici o solo thriller o solo harmony ecc.ecc. Io amo decisamente spaziare su piu’ generi, alternandoli, perché in diversi momenti un lettore ha bisogno di un certo tipo di lettura piuttosto che di un’altra. Lo sente quasi sulla propria pelle. E, ripeto non è una critica né un fastidio, non riesco a immaginarmi come un lettore unicamente di un genere. Ho bisogno di staccare da saggio, mi butto su un thriller, ho bisogno di leggere un po’ di sana realtà e allora mi butto sul realismo americano, ho bisogno di immagini e mi prendo in mano un libro d’arte, ho bisogno di svago totale e mi butto sui fumetti. Io ho dei costanti richiami dentro di me, che schiacciando un pulsante mi avvisano del bisogno (di lettura) del momento. E io seguo questi richiami. Di volta in volta.

Non riesco a pensare come il lettore che preferisce la quantità alla qualità delle proprie letture. Si possono leggere tantissimi libri ma non essere soddisfatti o avere un po’ il gusto amaro in bocca e leggere pochi libri ma cosi’ belli, cosi’ coinvolgenti, cosi’ interessanti da sentirsi completamente appagati e soddisfatti.

Sono solo dei miei piccoli fastidi. Io ad esempio nutro un po’ di pregiudizi nella lettura, quella italiana di oggi soprattutto e verso determinati scrittori stranieri. Pregiudizi che poi poco sopporto negli altri quando viene toccato un libro che a me è piaciuto particolarmente. Il lettore è anche fatto di queste incongruenze e incoerenze. Sarebbe bello poter filmare il proprio essere lettori. Chissà quante sorprese accumuleremmo su noi stessi.
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