Le piccole case editrici vanno tutelate, protette, come un animale in via di estinzione

giovedì 27 maggio 2010


D’accordo, di fiere interamente dedicate alla piccola-media editoria qua e là ce ne sono (non ultima quella che avrà luogo a Finale Ligure dal 16 al 18 luglio, Vento Letterario), e ritengo, da frequentante della scorsa fiera della piccola e media editoria a Roma, di poter affermare senza rischio di venir taciuto, che si è rilevata un grande successo a livello di presenze e di vendite, e quindi di speranza ce n’è, anche per quelle piccole case editrici, che con la loro bravura, competenza, coraggio, cercano di ritagliarsi un posticino nel mercato librario italiano. Sta di fatto che leggendo sul web, alla Fiera di Torino, da poco terminata, alla quale ho partecipato entusiasticamente,  i dati relativi bisognerebbe un po’ porsi qualche domanda: i dati relativi alle presenze sono straordinari, da 20 anni a questa parte l’afflusso è stato quello piu’ alto, addirittura il 20% in piu’ rispetto alla passata edizione. Pero’ scavando un po’ piu’ in profondità, la realtà dice anche che i profitti, gli aumenti delle vendite, il segno + vanno ai grandi colossi, a chi in realtà avrebbe forse meno bisogno. Attenzione, con questo non dico che è un dato negativo. Anzi, ben vengano un aumento di investimento della gente nel prodotto libro, ma fa riflettere anche da alcune discussioni, rubate, tra piccoli editori a Torino, quanto in realtà la gente abbia in gran parte preso d’assalto i colossi dell’editoria italiana, trascurando e non poco le piccole case editrici. Che meriterebbero ben altra ribalta, ben altra attenzione. Che la gente forse si sia impigrita a cercare qualcosa di nuovo a livello piu’ specifico, di nicchia? Che vadano, per comodità, su coloro i quali hanno piu’ mezzi e risorse per farsi notare? Ma il passaparola, dove è andato a finire? Le piccole case editrici, dovrebbero vivere di quello. Io nel mio piccolo faccio girare molto la voce, anche se devo essere sincero, ancora devo investire molto tempo per approfondire la conoscenza di tantissime piccole realtà che meriterebbero senz’altro almeno la pubblicità che viene fatta ai grandi colossi, agli squali che non esitano un istante a far fuori i pesci piccoli. Straordinari nel pescare (o ripescare) i talenti della scrittura, per poi vederseli soffiare sotto il naso con una semplicità disarmante, subendo oltre il danno anche la beffa, quella di non venir riconosciuto loro neanche il piu’ piccolo dei meriti.  A che servono le fiere del libro, se si deve colonizzare come in una qualsiasi libreria gli stand enormi, veri e propri negozi, di case editrici che vendono già enormemente altrove, dove le si incontra anche negli Autogrill, nelle stazioni metropolitane? Che senso ha, provocatoriamente, mi chiedo, organizzare rassegne del genere? I gusti della gente è, secondo il mio codice dei comandamenti del lettore, la prima voce che compare: mai discuterne, se ne puo’ parlare, confrontarsi, ma mai giudicarli. Pero’, una casa editrice che non ha i mezzi, il nome, la forza, i canali giusti per farsi conoscere, e alla fiera, che è il luogo per eccellenza per mettersi in mostra, bussare alla porta del lettore che passa di li per caso,  vede essere fatta a pezzi da quegli stessi che in libreria occupano ogni angolo dello scaffale costringendoti a retrocedere nel retro-pieno di polvere, cosa puo’ dire? Prendere atto di una sconfitta eterna o alzare un po’ la voce, anche solo per farsi sentire?  Molti lo fanno con uno straordinario spirito di iniziativa, nei paesi, online, sulle riviste, attraverso il passaparola.  Poi, per fortuna, si vedono anche casi molto interessanti in evoluzione: la Elliot, ad esempio, la Voland,  oppure la Minimum Fax, passate dal terreno dei “nessuno” a un trampolino che forse finalmente li sta lanciando nella realtà editoriale che conta. Ma non hanno alle spalle una storia e dei fondi come Feltrinelli e Mondadori. Eppure forse ce la stanno facendo, passetto dopo passetto a scrivere il proprio nome a ridosso dell’olimpo dei giganti. Ci sono anche strategie azzeccatissime, che stanno ripagando completamente il loro fiuto: un esempio? La Voland con Amelie Nothomb. Perché se è vero che è il catalogo che fa la differenza, potrebbe bastare anche un nome che diventerà di spicco, per far decollare tutto il resto. Basterà?  Me lo auguro, perché le piccole-medie case editrici sono una ricchezza inesauribile, straordinaria, irrinunciabile per il mondo editoriale italiano, sempre cosi’ vivo, dinamico, giovane, fresco, intraprendente.  Sarebbe un peccato e uno spreco enorme non valorizzarle.  Già e come non bastasse hanno pure tolto le tariffe postali agevolate, dimenticavo.
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Il pensiero dell'attimo di stasera

mercoledì 26 maggio 2010

Mi commuovo dinnanzi a libricini cosi' piccoli, che si faticano a scorgere sugli scaffali delle librerie, infilati in chissà qualche spazietto insulto, che gridano la loro presenza, urlano disperati a chi di passaggio la loro esistenza, schiacciati tra un libro di 1600 pagine e un altro di 800. C'e' pure prepotenza,tentativo di prevaricare, dominio tra libri.

Eppure mi commuove come un libricino per formato e numero di pagine, mi abbia saputo regalare momenti di irresistibile tenerezza, commozione, quasi lacrime, un viaggio irresistibile e sorprendente a conoscere per la prima volta reazionim a qualcosa, che non pensavo potessero appartenermi.

Davvero servono libri dalle pagine infinite, con un carattere minuscolo, per fare breccia nel cuore di chi legge, diventando il libro della vita (o di un momento particolare di essa)? Chi scrive di piu' ha per forza piu' da dire, da trasmettere, da raccontare?

Bastano anche un centinaio e poco piu' di pagine, . Basta una storia, basta un personaggio, basta una frase, basta la sensibilità di chi scrive, basta un mondo che anche dopo aver chiuso l'ultima pagina del libro, per me continuerà a esistere, e io a viverci dentro. Basta avere un'idea e seguirla, basta l'intensità con cui spesso e volentieri un libro di poche pagine sa comunicare. Pochi ma buoni? Penso ci possa star bene questo detto anche per i libri (ovviamente non generalizzabile, perchè è sempre un errore, generalizzare sia in un senso che nell'altro).

Questo è il mio pensiero di questo preciso istante. Penso che ogni pensiero vada annotato subito, in diretta, buttato giu' senza pensarci troppo per poi non rimpiangerlo di averlo perso. Questo è il mio pensiero delle 23,49 del giorno 26 maggio 2010. Tra 10 minuti saremo già in un altro giorno.
E questi sono i due libricini letti di recente che, guardandoli ora dal mio letto, mi han messo in moto questa urgenza di comunicare il mio pensiero.




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Leggere è un miracolo

lunedì 24 maggio 2010

Ci sono alcuni scrittori che secondo me, non sono semplici scrittori, sono il senso della vita, il succo di ogni cosa, l'essenza dell'esistenza. Ci sono scrittori che vorresti chiamare Papà, Fratello, Sorella, da quanto ti sono entrati nelle vene, come se li conoscessi dai tempi dei tempi, che hanno saputo aprirti il cuore, toccare il nervo scoperto, facendoti male, molto male, ma mettendotelo a posto. Quando si legge capita di instaurare con i propri scrittori preferiti un legame che ha tutto per essere definito un'amore carnale ma anche un'intreccio di anime. La loro scrittura, ogni singola parola, ti entra dentro facendoti male, facendoti ridere, facendoti riflettere, cambiando anche solo per pochi istanti i tuoi pensieri, la tua giornata, anche la tua vita. E' questo il grande potere della lettura, conoscere mondi impossibili, legare con anime altrui, consegnare e far custodire il proprio cuore a qualcun altro. Con me succede, ma non molte volte. Quando uno scrittore mi entra dentro, sono disposto a concedermi in tutto e per tutto. No, non come una prostituta. Questi per me sono MIRACOLI autentici.
Ora potrei citarne qualcuno, ma ognuno di essi mi ha regalato qualcosa di diverso, che mi si è appiccato indelebilmente a livello epidermico, mentale, affettivo. Ad esempio J.R.R. Tolkien, Haruki Murakami, Richard Yates, Cormac McCarthy, Christopher Moore, Will Eisner, ora la Yoshimoto con il solo Kitchen. E la cosa bella, ma che dire bella, stupenda, è che si è sempre disposti, con la porta chiusa ma non a chiave, ad ospitare dentro di sè altri scrittori che magari oggi non conosci, ci entri in contatto anche per caso, e si trasformano in men che non si dica, in emozioni viventi a cui non potrai fare piu' a meno. Nessun compromesso, tutto cosi' autentico, regalato, disinteressato. E' una magia. E' tipico di noi lettori, e solo un lettore puo' capire questa sensazione, muovere i passaparola, stare le ore a parlare con i librai di quello scrittore, vendere l'anima per consigliare e convincere una persona a leggerlo. Mi sembra di trovarmi, in questo caso, in un mercato aperto tutti i giorni di tutto l'anno, invisibile, ma sempre pieno di arrivi e partenze, un vero e proprio mercato del consiglio libresco dove noi siamo commercianti e clienti allo stesso momento. Ma mi chiedo, ma quanto è bello leggere? Quanto? Ecco, per me la lettura è un MIRACOLO.
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La Fiera del Libro di Torino - la nostra esperienza vissuta

sabato 22 maggio 2010


28 anni e non ero ci ero mai stato. Una vergogna,  andrebbe detto. In realtà, tenendo conto del fatto che il mio primo approccio serio alla lettura seria, consapevole è maturata nel 2004, possiamo limitare l’arco temporale a 6 anni di mancanza di un’esperienza simile per il sottoscritto.  Non riuscivo mai a mettere bene a fuoco, attraverso il racconto degli altri, cosa mi stessi perdendo, di che razza di scampagnata mi sfuggisse volontariamente da sotto le mani.
Ora che mi sono finalmente iniziato anch’io a alla setta dei frequentatori del Salone internazionale del libro di Torino, credo di poter dire con una certa sicurezza che mi sono evidentemente perso parecchio negli anni addietro.
Abbiamo deciso di arrivare in macchina, parcheggio comodissimo, prezzo del parcheggio molto meno. Diciamo che mi sarei potuto acquistare tranquillamente un qualsiasi Minimum Classics con i soldi mandati dentro quella maledetta macchina automatica del parcheggio. Innanzitutto, l’approccio è stato come dire un po’ di disorientamento, io e Giorgia anziché entrare direttamente nel Lingotto fieristico, siamo andati a finire nel centro commerciale e tra una via d’uscita e l’altra che sembravano essere tali ma in realtà non erano null’altro che trappole labirintiche che ci han portato quasi a esplorare le fogne dell’edificio, finalmente abbiamo imboccato la direzione giusta. Come cazzo abbiamo fatto a non vederlo? Ci siamo presi i nostri biglietti e subito di corsa al Green Point dove venivano distribuiti, prezzo una fila di gente infinita tra altrettanta infinità di sbuffi e lamenti, i pass, posti limitati, per assistere alle 17.30 (e qui erano le 11.30) alla presentazione del nuovo libro (che io ho già letto) di Amelie Nothomb, IL VIAGGIO D’INVERNO. Obiettivi già delineati chiaramente, come una perfetta macchina organizzatrice, come il miglior club calcistico che non aspetta fine agosto per rinforzarsi ma lo fa a partire da febbraio-marzo.  Vedere la Nothomb, farsi autografare qualche libro, scattare qualche foto-ricordo con lei, andare ad ascoltare Walter Veltroni che presenta Sebastien Fitzek, autore già del Ladro di Anime e in uscita da poco con Schegge, intramezzati da IL BAMBINO e poi girare, girare, girare per stand, parlare con gli addetti ai lavori (che tra molta stanchezza, pranzi saltanti, occhiaie, pare si stessero divertendo parecchio, ma è normale, visto il lavoro bellissimo che svolgono).
L’impatto, il primo piede poggiato nell’infinito spazio del padiglione 2, è stato come sbarcare sulla Luna. Disorientamento totale, tante parole, frasi confuse, pensieri intrecciati di migliaia di persone che chiacchierano, si chiamano, ridono, scherzono, domandano, rispondono. Un mondo,  letteralmente un mondo che vive in una campana di vetro separato da tutto il resto che respira fuori.  Si cammina, e già questa è una conquista.  Si tentenna un po’ perché davvero non si sa da dove cominciare, c’e’ talmente tanta roba da vedere che si rischia dalla frenesia di inciampare e finire rotoloni verso la prima persona che sta camminando nella tua direzione. Estasi, adrenalina a mille, incredulità, voglia di fare tutto e subito. Vedere tutto e tutti, sentirsi al riparo dal male che gira fuori, ci si sente quasi immortali.  Primo giro, panino con porchetta. Inevitabile, la fame sale. C’e’ la fame di libri, e anche quella fisiologica, la pancia reclama, non si puo’ far finta di nulla. Ma il mio paninazzo finisce nello zaino, quello di Giorgia già bello che digerito. Ci si incontra con Chiara,  poi con gli altri stravaccati sul divano nello stand-salottino della E/O, tra cui Marco, Marianna, Giulia, Daniela, Marta, Stefania, Paolo, Cristina.  Ci si è incontrati per caso, senza far ricorso al cellulare. Incredibile, oggi giorno ci si puo’ incontrare anche senza cellulare. Sicuri che ci troviamo in un mondo conosciuto? E si inizia a girare, noi per contro nostro, perché in gruppo i gusti e gli interessi di ognuno sono tra i piu’ svariati, impossibile viaggiare in gregge, meglio sganciarsi e ognuno non perde tempo e si rifugia nei propri stand del cuore. Io, manco a dirlo, mi son buttato a pesce alla Elliot (dove mi ero dato appuntamento con Marzia, la revisionista della Elliot, che  mi ha squisitamente regalato un libro, CON TANTA BENZINA IN VENA, di Ellis), presentazione ufficiale (io sono Andriy, tu sei Mimi’ di Anobii, vero? Piacere, e un po’ di imbarazzo da qual timido sono). Mi sono fatto fare anche una splendida dedica da lei sul libro e una foto poteva mancare? Ovvio che no. Non avevo dietro con me la mia NikonD60, diventata ormai una specie di anima gemella tecnologica, ma avevo in compenso quella piu’ portatile e portabile di mio fratello. E manco a dirlo, foto partite a manetta perché è obbligatorio immortalare momenti come questi.  Poi giro alla Minimum Fax, ma nel frattempo abbiamo annusato profumo di tantissimi libri, scattato con gli occhi fotografie a miriadi di copertine, facendo rapida memoria istantanea sui titoli delle nostre wish list. E clamoroso, sorpresa, delle sorpresa, ENZO E CRISTINA da Roma? Incredibile e dove potremmo mai beccare il nostro nuovo agente letterario che è in costante movimento per prendere contatti con gli editori? Ma al Libraccio, of course.  A cercare, e ad aver già trovato, occasionissime imperdibili. Tra una cosa e l’altra, un sorriso e l’altro, un abbraccio e l’altro, anche con Cristina, mi ha palesato in mano il libro di Fitzek da far autografare allo scrittore tedesco. Sempre mandare avanti gli altri eh? Pfff, che scansafatiche.  Poi vabbè, inizia l’avventura con Chiara, che poi ci lascia per andare a mangiare, ma poi ci si ripiglia, e andiamo da Fitzek. Ma, oh mamma, ma quello mica sarà Veltroni? Si si, dai una foto non puo’ mancare e sia io che Giorgia ci appostiamo al suo fianco e cordialissimamente si presta a un flash che rimarrà un gran bel ricordo. Ma quello è Fitzek? Si, mamma mia che faccia da psicopatico. Tiriamo fuori Scheggie di Enzo da far autografare (missione compiuta, pretendo piu’ rispetto d’ora in poi ahahaha) e il nostro IL LADRO DI ANIME. Firmato, altra missione compiuta. Peccato aver lasciato a casa IL BAMBINO (che ora, incredibile, non troviamo piu’ in quel di camera mia, mistero, degno della storia raccontata da Fitzek). Splendida presentazione di Veltroni, splendide chicche di Fitzek riguardo soprattutto le sue fonti di ispirazione (la povera fidanzata, che ha un influsso su Sebastian, che mi inquieta leggermente).  E io a due passi dalla coppia strana Veltroni-Fitzek a sbriolarmi e sbriciolare tutto con il mio panino alla porchetta. Che divoro, manco digiunassi da 24 anni. Il poi è altrettanto frenetico, perché alla ricerca del bagno perduto io e Giorgia, rimasti ancora soli, riceviamo uno squillo che sembra una chiamata d’emergenza da parte di Chiara…”Mi ha riferito Linda che ci sarà la Nothomb allo stand della tv svizzera…presto, presto…” .  Questa Chiara tutta cosi’ adrenalinica ci ha fatto pure dimenticare del bagno, subito dalla Nothomb, la missione chiama. Non rispondere sarebbe un delitto. E piazzati come se stessimo col sacco a pelo da giorni, davanti allo stand, a un certo punto arriva la nostra eroina, strepitosamente elegante,  singolare come lei sa essere nella stesura delle sue storie, con un bel cilindrone in testa, tutta vestita di nero. Assieme alla sorella, che ovviamente nessuno si caga. Bisogna approfittarne, non c’e’ nessuno, e giu’ con foto su foto (e Chiara pure mi ha consigliato una tecnica fotografica strepitosaJ che ha dato estremamente bene i suoi frutti). Abbiamo assistito da praticamente in braccio alla Nothomb alla sua intervista in radio svizzera.   E Linda, la nostra salvatrice, anche lei tutta bella sconclusionata, sconnessa, come poteva essere altrimenti? Emozionantissimo.  Dopo aver terminato questa pazzesca esperienza Nothombiana, dopo aver consegnato il biglietto per l’incontro con la Nothomb a Chiara che non smetteva piu’ di ringraziare, siamo andati un po’ alla cavolo in giro, a prenderci un cappuccio che ci ha offerto gentilmente la nostra BLonde-Girl, la nostra versione nothombiana italiana,  aspettando l’ora fatidica delle 17.30, abbiamo girato nel padiglione meno frequentato, quello delle piccolissime case editrici, e anche qui Chiara ha dato il meglio di sé, indicandoci lo stand de LAS VEGAS EDIZIONI. Strepitoso, piccolissimo spazio, ma gente di grande semplicità, disponibilità, competenza ci han accolto come nel loro salotto di casa. Un libro, tra i tanti, è balzato all’occhio: ALEX FA DUE PASSI, si poteva anche farsi disegnare qualcosa all’interno dalla disegnatrice del libro. Fantastico. Si puo’ perdere un’occasione del genere? Manco per idea, non scherziamo. Prima, pero’, momento necessario: una chiamata al telefono alla nostra carissima Barbara, che per colpa di un virus del cazzo ha dovuto rinunciare il giorno prima al concerto di Elisa e quel sabato alla fiera. Un duro colpo. Farebbe bestemmiare pure Madre Teresa di Calcutta eh (pace all’anima sua).  Un po’ mogia, si sente che non sta bene, lei che  regala energia, brillantezza, luce a ogni cosa che tocca o guarda anche solamente. Prima avevo chiamato ma rispondendo Piero, il marito di Barbara, ci ha detto che era a letto a riposare. Comunque una bella chiacchierata con me e Giorgia, salutata da Chiara. Non si poteva non coinvolgere, seppur a distanza bastarda, una persona a cui teniamo in modo particolare, cosi’ come un’altra splendida ragazza, Fernanda, che non è potuta esserci. Ma non avendo il numero di cellulare (mancanza scandalosa) come potevamo coinvolgere anche lei al party libresco? Comunque, riprendendo il filo, tornando avanti dopo questo flashback doveroso e sentito,  io e chiara ci siamo comprati ALEX FA DUE PASSI, ci è stato regalato un segnalibro che ho passato subito a Giorgia. Ma nel frattempo, Chiara ha dato ancora il meglio di sé, andando  a discutere con INTERMEZZI, conviventi nello stesso stand con LAS VEGAS, dei libri che loro hanno mandato gratuitamente attraverso una pregevole iniziativa, da recensire. La discussione si è trasformata da un abbraccio e sorriso iniziale, a una ritmata botta e risposta sul perché Chiara avesse trovato pieno di errori quello che loro considerano il loro miglior libro. Azzo, se quello è il loro migliore, secondo Chiara gli altri cosa sono? Vade retro SatanaJ Poi si gira, tra Coconino Press, Le Mani, Becco Giallo, Alet, chiacchierate con gli editori, passaggi effimeri davanti a tanti altri stand, tante chiacchierate tra noi, sorrisi, il solo piacere di stare insieme. Poi si vola da Amelie, che noi avevamo già incontrato prima praticamente in assoluta privacy, e incontriamo Alessia, che speravamo di incontrare perché avevamo preso un biglietto anche per lei. Ma senza contatto telefonico? Niente, quando è destino è destino, c’e’ qualcosa che lega questi lettori. Ci si incontra senza cellulare, incredibile. E sapendo del biglietto, ovviamente ha espresso tutta la sua straordinaria felicità con tutta la sua timidezza e eleganza che, da quel poco che la conosco, contraddistingue Alessia. E  tutti dentro alla sala, VRUUM!. Ci si siede, si aspetta ansiosamente AMelie, arriva con Giovanna Zucconi a presentarla . Ma , qui stan parlando senza traduizione? Mi accorgo solo dopo che andavano prese le auricolari per chi non conoscesse la lingua. Un casotto assurdo, me la mettevo in testa, tra un po’ sotto le ascelle, non riuscivo a infilarmi queste maledette cuffie, grazie come sempre a Chiara stile MEDIOMAN, ci sono riuscito. E dopo mezz’oretta sono entrato anch’io in sala cosciente di quello che si stava dicendo.Poi rientriamo ancora in contatto con Enzo e Cristina, viaggiamo ancora, Enzo va a in cerca di contatti, per raccattare qualche libro da recensire sul blog. La diplomazia è ufficialmente aperta, si cercano parole e espressioni migliori per fare loro colpo (alle case editrici). La stanchezza si fa sentire. Si cade a terra. Si chiacchera, quasi ubriachi senza aver toccato un goccio di alcolico.  Poi è arrivato il momento, ahimè, dei saluti, alle 8.30 circa, gli altri, tutto il gruppo nutrito di CF che non abbiamo piu’ ribeccato, a cena, io e Giorgia verso Torino centro, e poi casa, dove siamo caduti in un sonno profondissimo, ancor prima di toccare cuscino e letto. Un’esperienza straordinaria, indimenticabile, di cui ho raccontato a grandi linee, dimenticando, colpevolmente, magari altri momenti e piccoli grandi gesti, che se anche non citati rimarranno impressi. Nella testa e nel cuore. Grazie.

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Torino, Las Vegas Edizioni, per arrivare ad "ALEX FA DUE PASSI"

venerdì 21 maggio 2010

La Fiera del Libro. Già, ci vuole tempo per raccogliere idee, emozioni, sensazioni che sabato 15 maggio mi hanno completamente travolto. Serve ancora qualche giorno per poter esprimere compiutamente un pensiero che non puo' essere buttato giu' in pochi secondi e in poche righe.
Pero' una sorta di piccola anteprima, un piccolo appetizing, posso concedermelo. Per parlare di uno dei bellissimi incontri che ho avuto modo di fare in quel di Torino. Ed è una casa editrice, LAS VEGAS EDIZIONI. Con Giorgia, la mia ragazza e una nostra amica, Chiara. Lei conosceva questa piccola casa editrice, il sottoscritto, colpevolmente no. Ma a cosa servono le fiere del libro se non ad accumulare conoscenza su questo fantastico mondo che sono i libri? A cosa servono le fiere se non a permettere il primo incontro con case editrici, autori, libri di cui si ignorava anche l'esistenza? La bellezza delle piccole case editrici, secondo me è la loro passione. E' il loro segreto, che permette loro di andare avanti in mezzo a forze oscure, a potenze enormi, squali, come Einaudi, Mondadori, Feltrinelli, veri e propri colossi dell'editoria che rischiano di mangiarsi sempre piu' i pesci piccoli. Anche con Las Vegas edizioni, mi è sembrato di entrare in un appartamento, piccolino, ma caldo, fatto di grande passione, capacità, coraggio, intraprendenza. L'editore, un ragazzo di una trentina d'anni, con il suo staff di collaboratori, che nonostante la stanchezza accumulata e pranzi mancati, ti dedicano istanti di grande chiacchera, facendoti sentire importante, parte di loro. A noi lettori questo fa letteralmente impazzire, in particolar modo a me stesso. Mi sono sentito pieno, vivo, anche emozionato. Poi veniamo ai libri, posso vergognarmi dicendo che non ne conoscevo neanche uno, se non i libri di Christian Mascheroni? Ebbene, lo dico. E mi vergogno un po'. Copertine bellissime, colori sgargianti, titoli molto interessanti, trame ancora di piu'. E in occasione di questo incontro inaspettato ma meraviglioso, non ho avuto il minimo tentennamento a portarmi a casa questo libricino che fin dalla copertina, è stato irresistibile per la mia fame di lettura. Ad aggiungersi, anche la possibilità di un disegno, fantastico, all'interno del libro ad opera di Marica Andreello che altri non è che la ragazza che ha creato i disegni all'interno del libro che ho acquistato, ALEX FA DUE PASSI, di Christian Mascheroni. Ma veniamo ora al dunque, un mio umile commento sul libro.


Una commovente favola moderna, che non puo’ lasciare indifferenti, ma che, anzi, tocca profondamente il cuore di chi legge. Una straordinaria camminata a occhi (e cuore) aperti in compagnia di un personaggio straordinariamente normale, semplice, un “uno di noi”, che ha un qualcosa di speciale: quello di prestare attenzione con meraviglia e interesse profondo (e sgomento) a ogni minimo richiamo, al piu’ piccolo sussurro, a ogni piccolo particolare che nasconde una storia.
Alex, impiegato, un bel giorno si affaccia alla finestra del suo ufficio e vede fiocconi di neve cadere dal cielo. Una miracolo della natura che emoziona, che spinge a staccare la spina anche solamente per ammirare il bianco che va formandosi come uno splendido campo sportivo. Decide cosi’ di uscire, per la pausa pranzo, a farsi una bella passeggiata. Quello che lo attenderà, non puo’ neanche sospettarlo. Ogni passo di Alex corrisponde a un incontro, a un pezzetto da aggiungere l’uno all’altro per comporre un vero e proprio puzzle.
Quello che lo aspetta a braccia aperte sono uno strano personaggio che vive nella sua auto, un semaforo febbricitante che vuole essere curato, un uomo che pesca dal tombino oggetti tra i piu’ svariati e li attorno non ci sono corsi d’acqua, un bambino nudo con la corona di re in testa che ha perso il suo regno seduto su una panchina, un manichino che vorrebbe prendere l’aereo per scappare, una coppia che vive in una cabina telefonica e offre ristoro per qualche ora al nostro Alex, una ragazza su un enorme cartellone pubblicitario che vuole prendere vita e non rappresentare semplicemente un’immagine da osservare, stretta nella noia della sua solitudine, un orologiaio che accusa i clienti di rubargli tempo ma permette a chi ruba i suoi gioielli di uscire dal negozio a patto che non gli portino via minuti preziosi, una sarta che non ha piu’ soldi neanche per mangiare che si ciba cosi’ delle stoffe. Ci sono anche oggetti animati, che prendono vita, si emozionano, conducono una vita regolarmente umana, cosi’ che troviamo tazze che piangono e cellulari che dormono russando.
Alex, nonostante il freddo, continua a camminare perché percepisce qualcosa di straordinario, la città sembra essere cambiata, sembra essersi fermata. Non ci sono rumori, se non quello del fiocco di neve che tocca terra, vuole capire come mai la forza assordante di luci e caos abbia lasciato spazio a una vita cittadina cosi’ intima, privata. In realtà, e lo scoprirà camminando senza un traguardo prefisso, quanto invece vi si senta addosso il peso, il chiasso, il fastidio della solitudine, della profonda caduta economica che ha messo in ginocchio l’intera popolazione, dell’indifferenza che domina questo paesaggio desolante, dove a mostrare almeno un barlume di vita ci pensa solo la neve che cade dal cielo, altrimenti tutto sarebbe immobile, come in un plastico urbano, come in un’opera scultorea.
E’ un po’ un ritratto decisamente disturbante della nostra società, avvolta in un silenzio che urla il proprio dramma. Non basta andare lontano per accorgerci come, con tutta la poesia e l’essenza favolistica che Mascheroni magistralmente inserisce in questo libricino-capolavoro, i problemi dei personaggi meravigliosi tratteggiati dall’autore non rappresentino altro che stati d’animo, condizioni economiche e difficoltà esistenziali che sono esattamente i nostri. Ci si riconosce, impossibile non farlo. Certo, attraverso situazioni limite, fantasiose (e per questo di una romanticheria senza precedenti) ma la sostanza non cambia.
Malinconia, illusione, tenerezza, solitudine, incomprensione, impotenza sotto il peso schiacciante di una metropoli fredda, cinica e indifferente, il lettore proverà esattamente tutto cio’nel brivido di ogni parola incontrata, letta e custodita. Ma c’e’ anche speranza, la si scorge, la si incontra in ogni incontro di Alex, di poter cambiare le cose, in meglio, per poter guardare avanti con la garanzia che un sorriso nascerà prima o poi, nonostante tutto.
Alex, dopo questo meraviglioso viaggio per il quale si perde ogni connotazione temporale, tornerà in ufficio che sembra essere un’altra persona perchè capirà che il suo modo di vedere le cose è profondamente mutato, che quella semplice passeggiata per lui si è rivelata un’esperienza assolutamente straordinaria, rivitalizzante, rivoluzionaria dentro di sé. Personalmente mi è venuta ancora di piu’ voglia di uscire di casa, e camminare anch’io. Senza scopo, senza traguardo, senza una destinazione. A osservare, a incontrare, a meravigliarsi, a chiacchierare, o, semplicemente, a vivere la propria realtà che ci aspetta là fuori.
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Aprile, le mie letture

sabato 8 maggio 2010


Aprile, anche questo è andato, “come foglie d’autunno”. Altro mese come al solito (e per fortuna) di letture, tra le altre cose.  Addirittura, su sei libri, ben tre sono graphic novel, un altro è un libro che potrebbe benissimo prestarsi al graphic novel e ha una potenza espressiva quasi simile, un capolavoro (Yates) e un libro piuttosto irritante e davvero mediocre come LA CENA, decisamente la pecora nerissima del mese (anzi, forse si propone già molto autorevolmente come la lettura peggiore del 2010). 

Leggendo un libro, si puo’ rimanere piuttosto infastiditi. Il fastidio puo’ pero’ essere di due specie: quello insito alla lettura, derivante da temi, momenti, personaggi, vicende e spesso accade che questo decreti, almeno dal mio punto di vista, l’assoluta bellezza di un libro, L’altro fastidio, come in questo caso,  è un fastidio che guarda dal di fuori la lettura. E la condanna senza appello, perché non mi ha permesso di entrare nella storia, mi ha allontanato subito da uno stile pessimo, credibilità nulla della vicenda, tante ostentazioni varie e una profonda presa per il culo di fondo. 



Mi perdoni il mio carissimo amico Richard, non si capovolga su in cielo a fissarmi da li per dire: ma come osi mettermi dopo quel cesso di libro de La Cena nella tua sequenza dei giudizi del mese. Mea culpa, gli direi, hai il 100% della ragione, non mi merito neanche le briciole di fronte a un’incontrovertibile verità come questa. Yates ha scritto un altro capolavoro, forse piu’ raccolto nel suo dramma rispetto a Revolutionary Road, ma ugualmente intenso, denso, stracolmo di umanità.   E pieno di contraccolpi psicologici, altalenanti impennate-cadute sentimentali e chi piu’ ne ha piu’ ne metta.
Una lettura assolutamente inaspettata, sorprendente, quasi miracolosa. Arrivata a fari spenti, mi ha accecato.
Il fenomeno-Satrapi non accenna a esaurirsi. Prosegue con la sua irresistibile testimonianza profonda, ironica, ma forte, dura, dolorosa allo stesso tempo della condizione di vita assolutamente precaria del suo paese, sempre piu’ soffocato da violenza, obblighi-doveri senza diritti,  schiaffi morali quotidiani. Il fatto che continui ad avere successo, sa tanto di speranza di ribaltare completamente certi stati di fatto. Speriamo.
L’emozione senza parole. L’emozione non ha voce, come direbbe Celentano. Questo assoluto capolavoro si incasella perfettamente in questa bellissima citazione. Una lettura che trasmette tante ma tante di quelle emozioni che ci si sente impotenti anche solo a cercare di renderne conto ad altri. Non è stata per me una lettura, sfogliando pagina dopo pagina (lentissimamente) ho vissuto anch’io, un’esperienza, dalla quale non si puo’ uscire e se anche si riuscisse, non si puo’ farlo senza una valigia bella piena di sensazioni fortissime, penso indelebili. 
La guerra, con tutto il suo carico di odio, con tutta la sua assurda condanna a morte, privazione di tutto, la sua eredità che è il nulla, il vuoto, il dolore eterno. Una straordinaria riproposizione del film che mi ha commosso come poco altro.  Facciamo capire a chi di dovere che l’odio distruggerà il mondo, che la violenza è morte, è tradimento, è annullamento di sé.Gridiamolo con tutta la forza, la voce, l'energia che abbiamo in corpo.
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[Segnalazioni] Ma guarda un po' te...

venerdì 7 maggio 2010

Da lettore mi sono capitate molte cose, tra cui quella cosa fastidiosissima, e imperdonabile nei 10 comandamenti del lettore, che è il  dover sapere le cose prima di volerle sapere arrivandoci con la lettura, passo per passo. Ed ecco allora trame che svelano tutto, trame di un thriller seguito di un libro precdente che svela il nome del killer, e ora ci si mettono pure le copertine per, se non di spiattellare l'intero finale, comunque di dare indicazioni molto molto importanti che andrebbero evitate come la peste da dare cosi' spudoratamente e cosi' apertamente al lettore che prende in mano il libro. Ma mi chiedo: la copertina è la prima cosa che salta all'occhio, ma si puo' decidere di pubblicare un libro con una copertina che già racconta il finale? Come rovinarsi la lettura, ancora prima di immergersi.
L'aggravante è che questo, che a mio parere è un errore piuttosto pacchiano, è accentuato dal fatto che è stata una casa editrice storia e cosi' consumata come la Feltrinelli, marchio in Italia a livello editoriale piuttosto radicato,  a mettere il piede in fallo.
Io ho letto di parecchi fastidi, incredulità, o quantomeno grosse perplessità da parte dei lettori.
Evitiamo di far spifferare troppo a copertine e trame. Giusto il fascino dell'ambiguità, affascinante la cooperazione casa editrice- lettore con quest'ultimo che partecipa al gioco della decodifica-interpretazione, pero' in questo caso mi sembra di poter dire che è stato commesso un passo falso.

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Un libro alla volta o piu' in contemporanea?

mercoledì 5 maggio 2010

Parto subito da quella è la mia solita esperienza diretta: leggo un solo libro alla volta.
Questo perchè, per carità, invidio chi ci riesce, ma trovo assolutamente infattibile per me incrociare letture, personaggi, vicende. Un caos con la C maiuscola. Al libro che leggo devo dedicare oltre che tempo, anima, corpo, amore senza adulterio e distrazioni. Dividere tempo, attenzioni, spazi su piu' libri è come fare allo stesso tempo da mangiare, leggere, guardare la tv, stirare. Secondo me è disorientante, dispersivo, e tra l'altro intacca ogni libro che si sta leggendo. Non è che, a parer mio, si legge bene bene un libro, un po' meno bene l'altro e un po' superficialmente l'altro ancora. Ogni libro assume un sapore sfumato, meno nitido, e un legame con il lettore meno forte, non essendo esclusivo, piu' volatile col rischio di lasciare tracce poco profonde.
Sono dell'idea che una lettura multipla, anche in questo caso massimo due, non di piu', sia possibile non romanzo-romanzo ma saggio-saggio o romanzo-saggio. Shakerare autori, generi, stili per me (sottolineo il mio modo di vedere la cosa da un punto di vista personale), è un sacrilegio, una violazione soggettiva del galateo del lettore.
Prendiamo caso di leggere contemporaneamente: Cecità, il Diario di Anna Frank, Lo Hobbit e Banana Yoshimoto. E' un delitto alternare una lettura all'altra, leggendo, abbandonando, riprendendo, leggendo, saltare da una pagina di un libro a un'altra come se nulla fosse. E' come passare continuamente da un'epoca storica a un'altra: non ci si capisce piu' nulla, col rischio di trovarsi con l'Ipad nel Medioevo, con la convizione di aver inventato la ruota nel 2010 e andando in giro nella Londra ottocentesca con la Mini Cooper. Per come sono fatto io è stonante, fastidiosamente stonante. Ha lo stesso effetto di un fucsia accanto a un giallo fosforescente. Cosa resterà del libro letto in contemporanea con altri 2-3-4-5 libri? In me, sono certo, non resterebbe nulla, si evoporerebbero a vicenda. Ci sono lettori che vivono la lettura con anche 6-7 libri in contemporanea...O hanno una capacità straordinaria di tenere separate le diverse letture ( e credo di conoscere una persona in tal senso, Giorgia della Libreria Riminese), valorizzando al massimo la ricezione della storia narrata o non saprei. C'e' oltre allo scrittore di talento, anche un lettore di talento? Chissà. Io intanto mi godo come sempre il mio unico libro, a cui dedico tutte le mie forze, regalo il mio tempo e concedo, in esclusiva,  il compito di emozionarmi, colpirmi, scombussolarmi. Certi ritmi, lo ammetto, non riesco a sostenerli, per tempo, per spazi ma anche per scelta.
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[Recensioni] Un gioiello da non lasciarsi scappare, da leggere

Parlando di questo libro risulta difficile farlo senza partire da un’occhiata al titolo. Splendido nella sua originalità, nella poesia che traspare e nel potere altamente evocativo e cosi’ volutamente ambiguo, curioso nelle particolari percezioni che chiamano in causa un po’ il film IL CURIOSO CASO DI BENJAMIN BUTTON di David Fincher. Premessa, non ha nulla a che vedere con il racconto di Francis Scott Fitzgerald, ma il fascino rimane e il collegamento titolo del libro-immagine del film di Fincher è un flash che appare giustificato, per la sensazione di un viaggio temporale da vertigini, non proprio ordinario, che ci si appresta a vivere (in questo senso ha qualcosa di REQUIEM FOR A DREAM , libro psichedelico di Selby Jr e poi omonimo film di Aronofsky, come potenza e forza delle immagini). Una titolazione del genere, insomma, è un avviso ai naviganti di quanto la lettura sarà assai gustosa e ricca di anticonformismo.
Il libro, in lingua originale “Some Things That Meant the World to Me”, di Joshua Mohr, scrittore 33 enne esordiente di lavoro fa insegnante in una scuola famiglie ma che fa trasparire un potenziale grande futuro in campo letterario, è già stato oggetto di grande apprezzamento dalla critica e amato da una fetta considerevole dei lettori americani. Qual è il segreto di tanto successo? Cosa ha dato di cosi’ particolare, di nuovo questa scrittura al lettore di oggi?
L’originalità, senza dubbio, è tra elementi di spicco che balzano immediatamente all’occhio. Essere originali non è semplice, perché ormai oggi, di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia, tanti grandissimi scrittori hanno avuto fortuna, si sono costruiti un nome, hanno dominato il loro periodo di fervente vitalità e ispirazione, firmando la propria grandezza con uno stile tutto loro, non facilmente esplorabile ancora piu’ a fondo. La continua ricerca di spazi da ritagliarsi, una propria nicchia che prenderà il proprio nome nella memoria di tutti, è difficile. E’ una giungla nella quale sgomitare non basta, se non si è in possesso di qualche formula magica capace di aprire il cuore di chi legge.
Il libro di Joshua Mohr puo’ essere considerato come una favola moderna , lacerante e straziante, molto scorbutico sotto certi aspetti ma allo stesso tempo zuccherato, commovente e piena di speranza, che nutre il lettore di intensa vitalità e partecipazione emotiva profonda, che si accende a intermittenza, in mezzo al frastuono di un dolore che pulsa sempre molto forte nell’animo del protagonista principe della storia.
Il tipo di scrittura è decisamente brillante, veloce, spesso accecante come flash improvvisi e martellanti, dettata dal ritmo di forza espressiva straordinaria, una freschezza inebriante, che sprigiona tanta elettricità e spinge a un livello di coinvolgimento sempre molto alto chi legge.
L’ impianto narrativo è una delle particolarità piu’ evidenti, molto vivace, dinamico, effervescente, caratterizzato da alcuni intrecci sociali che prendono vita, sottoposti a parecchi spostamenti, da una location all’altra, un rapido susseguirsi e alternarsi di situazioni, di volti amici e conosciuti per il lettore che entra fin da subito, con trasporto emotivo e tanta curiosità, nella storia. Ci si sente completamente immersi nelle vicende, tanto da sentire odori di immondizia, divani bruciati, piatti improbabili preparati con amore per l’altra persona, fumo, odori di scarico delle auto con una nitidezza tale da sembrare proprio li, sul posto, a far puzzare poi i propri abiti a cui si attaccano questi fastidiosissimi e pungenti aromi. L’arena degli avvenimenti è ben circostanziata, senza il rischio di eccessive (e autoreferenziali) divagazioni temporali e geografiche che creerebbero solo confusione e spaesamento.
Protagonista del romanzo, ambientato nella San Francisco tipicamente americana con in vista nel binocolo Phoenix in lontananza, è un giovane ragazzo con alle spalle un passato difficile, che si ubriaca spessissimo (come sarebbe altrimenti, in una città piena di bar notturni), con una madre piuttosto assente, alcolizzata e con un compagno che spesso abusava di lui sia verbalmente che fisicamente, con un nome da donna, Rhonda e inevitabili problemi psicologici di una certa gravità( e infatti, nel periodo presente a cui fa riferimento, va da uno psicologo chiamato Capelli d’Angelo, che poco pero’ ha potuto fare in pratica per correggerlo da alcune deviazioni di percorso di fatto, incorregibili), sofferente di “fuga dissociativa” o altrimenti detta “depersonalizzazione”. Lui pero’ non intende prendere atto della sua malattia, per paura, per orgoglio personale, per non minare una propria autostima che non viaggia a un chilometraggio elevato. Proprio per questo rifiuto netto della sua condizione mentale oggettiva, verrà catapultato in tutta una serie di visioni assolutamente anomale che lo condurrà a viaggi a basso volume nei vicoli di una San Francisco suggestiva nel bene e nel male, tra sogno, incubo e realtà, tra il caldo torrido, il sole cocente, la puzza intensa di scarichi, fogne e bidoni dell’immondizia.
Si farà guidare da un mini-rhonda, la versione di lui da piccolo, che lo aggancia a sè dopo una notte nella quale ha salvato una prostituta da massacro certo, è andato a letto a casa della donna ed è stato brutalmente insultato e cacciato immediatamente, colpa averle urinato sul letto come un bambino moccioso dopo aver consumato. E’ un ragazzo certamente pieno di contrasti interni irrisolti, guasti, forse irrimediabili, che cerca in mezzo alla nebbia in cui è avvolto una via di uscita. Il mini-rhonda permetterà lui di viaggiare in una sorta di mondo parallelo (ripercorrendo i suoi momenti passati) al contrario simile a quello di Lewis Carroll ma attualizzato, adattato ai tempi in cui sta sopravvivendo con le unghie ma anche senza troppa convinzione. E cosi’, tra fumo, grigiore spettrale della metropoli, incontri bizzarri e cassonetti nei quali è possibile aprire in fondo una botola con l’illusione e la speranza di una fuga in un “paese delle meraviglie” , Rhonda cerca di ricostruire un po’ i pezzi del suo puzzle andati persi.
Ha qualche amico, soprattutto Vern, nel bar che solitamente frequenta a furia di birre scolate, conoscerà una bella negoziante giordana di cui si innamorerà e infine una signora sessantenne che si chiama come lui, Rhonda, anch’essa alle prese con grossi problemi con il marito, che acquisirà una posizione sempre piu’ centrale nella vita di Rhonda, il quale cercherà a sua volta di rimettersi in carreggiata, seppur con altalenante successo. Tra delusioni cocenti e momenti di ritrovata serenità che sembra assumere quando viene raggiunta, un valore paradisiaco e liberatorio per tutti i suoi cinque sensi, tra le intense chiacchierate botta-risposta serrate con il suo psicologo Capelli d’Angelo, tra passeggiate e chiacchierate con il suo “io quando ero piccolo” amico immaginario, prima o poi dovrà scontrarsi per la resa finale dei conti con il passato che ha lasciato su di lui la pesantissima eredità di una vita completamente stravolta, di cui non sembra neanche accorgersi di vivere in molti momenti del suo presente.
Certamente il libro si gioca tantissimo sull’analisi del personaggio, si muove costantemente nell’immersione in punta di piedi ,anche se a volte cruda e agonizzante, in Rhonda, dentro a un’anima fatta a pezzi, disintegrata, quasi rottamata, di cui si vede appena un minimo di senso di quello che era un tempo, se mai ne abbia mai avuto uno. Rhonda deve capire chi sia, chi sia stato e cosa abbia fatto nel suo trascorso che ormai ricorda solo a flash e a fotogrammi mentali che lo accecano ogni volta che vengono a bussare alla sua porta. E’ confuso, è alla ricerca continua di se stesso. La sua libertà dipende da come riuscirà a prendere atto di cio’ che è stato e da come riesce a liberarsene. Solo cosi’ potrà sganciarsi da una prigionia psicologica che sembra tenerlo sempre sotto scacco. Imprigionato, ostaggio di sé stesso, a sua volta vittima di indifferenza e violenza, che sembrano essere alla base della sua crescita problematica. Ci sarà un modo per abbandonarsi finalmente al resto di un’esistenza libera e leggera?In fondo ha solo 30 anni, potenzialmente avrebbe davanti a sé la possibilità di una rinascita, di una seconda vita.
Il viaggio dentro al quale ci proietta Mohr con un linguaggio, come detto, intenso, vivo, carico di potenza espressiva e luci accecanti , suggestioni, è maledetto, disperato, ma anche profondamente affascinante capace, senza presunzione di pretese assurde, di indagare a fondo, l’animo umano, nella sua ricerca di un senso da darsi. E’ palpabile in tutto il libro la sottolineatura dell’importanza (quasi necessaria) di voltarsi, guardare cio’ che si è stati, comprendere e prendere atto di cio’, chiudere la porta, tornare al presente, viverlo intensamente senza piu’ distrazioni, e guardare avanti per poter costruire qualcosa che abbia un senso da li’ in poi. C’e’ una certa impotenza frustrante in tutto questo. C’e’ un timore insito nell’uomo ad affrontare il futuro spogliato del passato, una sorta di chiusura centralizzata automatica nei confronti di un pericolo di aggressione dall’esterno di fantasmi sempre pronti a braccarti , e il tutto assume il senso di un accerchiamento claustrofobico. Cosa serve per andare avanti, senza voltarsi piu’ appesantiti da zavorre come rimpianti e rimorsi? Una birra? Sesso sporco? Il fumo? No, serve un ambiente sereno in cui cercare stabilità e affetti. E forse, Rhonda, riuscirà a mettere la parola fine alle sue continue , disperate, lotte interne.
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[Recensioni] Una porcata di libro raramente vista

sabato 1 maggio 2010


Nutrivo delle belle aspettative. E quando ci sono aspettative di un certo livello, alla porta c'e' sempre l'ombra della delusione cocente. E infatti è stato cosi', puntuale come un tackle di Thiago Silva sull'avversario lanciato a rete. Pensavo fosse un romanzo piu' profondo, nel quale l'autore si ponesse delle domande di un certo livello sull'atteggiamento e l'instabilità dei giovani d'oggi (il che è di strettissima attualità oggi, sentendo quotidinamente tg e leggendo giornali). Invece, è un clamoroso bluff, un gioco a incastro di pezzi di puzzle assolutamente mal assemblati e un libro in cui manca una coerenza interna, il dramma di gesti squallidi e osceni come questi, rimane sempre troppo a galleggiare in superficie, non c'e' uno scavo psicologico e sociale che poteva rivelarsi assolutamente interessante da affrontare. Una caratterizzazione pessima dei personaggi, sempre solo sfiorati e abbozzati male già nell'idea di partenza, c'e' un tentativo banale e assolutamente fallito di dare loro un volto,una storia, una fisionomia psicologica, una mappa comportamentale. A me sono parsi francamente poco credibili e assolutamente fastidiosi, cosi' insopportabili da sembrare finti, plastificati. In piu' una scrittura che non fa per me, abbastanza piatta, scialba, che non accellera mai, rimane stagnante in una sorta di limbo, di terra di nessuno. E' un libro adatto per una trasposizione di film TV (neanche cinematografico), destinato a una serata in cui su altri canali c'e' proprio lo schifo totale da autocondannarsi a consumare televisivamente parlando. Poi, onestamente, questa sorta di ambientazione esclusiva al ristorante, con qualche digressione qua e là confusa e slegata dal resto del libro, inserita quasi a casaccio, mi ha piu' volte fatto domandare: oh, ma la scena principale è la descrizione della loro cena piatto per piatto o quello che combinano i due ragazzini con tutte le conseguenze del caso? No, perchè veramente è ingannevole il libro come viene presentato. Sarà stato un errore mio quello di pensare che fosse un romanzo di formazione? E' veramente catalogabile come thriller? Alla fine, forse, anch'io ci sono cascato. Sta di fatto che parlando, sottolineamolo, personalmente, questo libro non solo non ha lasciato nulla ma ha anche gridato all'insulto. Quando un libro ti fa credere certe cose, durante la lettura ti ammicca ad altre promesse e poi giungi alla fine che l'unica cosa che ti ha dato è un'analisi dettagliata del menu del ristorante e la faccia imbarazzata di fronte al conto finale, beh mi si perdoni, ma non puo' pretendere di portarsi a casa il mio entusiasmo. Questo libro vola via come se non ci fosse mai stato tra le proprie mani. E che dire degli improbabilissimi, accentuatissimi e imbarazzanti colpi di scena ricercati? E' stata buttata alle ortiche una bell'occasione di unire elementi thriller a un lettura formativa e di denuncia. Riprovaci Koch, magari sarai piu' fortunato. Oddio, se devono essere tutti cosi' i tuoi libri, meglio che ti dedichi ad altro, risparmiaci queste porcate esaltate manco fossero la Bibbia e poi si è costretti a prolungarsi un'agonia di mediocrità angosciante senza fine.
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