L'informazione liofilizzata - Andrea De Benedetti

martedì 10 novembre 2009

Leggere il giornale non è semplice. Perché non si ha tempo, perché magari l’impostazione grafica ostacola una lettura riposante o magari perché anche la stampa stessa a volte è nemica di se stessa perché incapace di informare nella maniera piu’ appropriata. O magari è difficile perché lo si inizia a fare a partire dai titoli, momento catartico per ciascuno di noi, e anche questa non è una lettura scontata. E’ infatti in base al titolo che spesso si decide se è di nostro interesse l’edizione odierna di un giornale, oppure se un articolo merita di essere letto perché soddisfa una nostra curiosità. Il titolo rappresenta il primo approccio che si instaura con il mondo cartaceo dell’informazione, è il primo impatto visivo che ci attira o ci respinge. Addirittura il titolo per alcuni quotidiani rappresenta la propria carta d’identità con la quale si crea la fidelizzazione del lettore alla testata.
C’e’ molto altro in un giornale, benintesi non intendo affermare la centralità totalizzante ed esclusiva del titolo. Sarebbe pericoloso impostare l’equazione titolo=notizia o titoli=giornale. Però è innegabile che questa parte del giornale, che campeggia in alto, a caratteri maggiori (spesso cubitali) rispetto al resto degli spazi del quotidiano, rivesta un ruolo di ancoraggio (e di comunicazione) fondamentale. La priorità gli è automaticamente dovuta in qualche modo. Rappresenta la parte piu’ letta, per motivi di visibilità e spazialità concessole, e magari per la velocità con cui la si immagazzina e la si archivia, soprattutto se prigionieri della mancanza di tempo che spesso attanaglia le nostre giornate. Ma c’e’ un altro elemento, fondamentale, ma sul quale magari ci si sofferma poco ad analizzare e che è il tratto linguistico tipicamente da titolo di giornale, che si distingue non solamente da altri linguaggi della comunicazione, come quella pubblicitaria o quella politica ma che manifesta logiche, attenzioni, modalità di costruzione e anche un lessico e una morfologia diversi anche all’interno del giornale stesso. Il titolista dev’essere esaustivo in una riga, spesso attraverso l’utilizzo di uno-due termini chiave che facciamo “rumore” nella testa di chi legge, deve essere seduttivo, deve saper vendere la notizia “pubblicizzandola” al meglio delle sue capacità comunicative, dandole anche un connotato emotivo piuttosto forte.

Il libro di De Benedetti, attraverso una lucidissima e minuziosa analisi di cio’ che un titolista dovrebbe e non dovrebbe fare, di cio’ che rappresenta i vizi della linguistica dei giornali, dell’evoluzione del linguaggio giornalistico che continua ad adattarsi ai tempi, ci mostra come il titolo (ma anche il linguaggio dei giornali in generale) contempli un’amplissima casistica di vocaboli, frasi, morfologie a uso e consumo di chi deve “inventarsi” l’aggancio migliore da destinare al ricevente del prodotto informativo. Caso per caso, perché l’elemento piu’ interessante è il continuo confronto parallelo che l’autore ha voluto mettere in luce tra diversi quotidiani in Italia. E da quello che si evince, ogni quotidiano ha una propria “cultura” non soltanto in termini di veste grafica da indossare o della tipologia del carattere con cui è scritto o della diversa dislocazione dei diversi elementi che compongono la prima pagina, ma anche del tipo di TITOLAZIONE da proporre. Nell’attuale società della multimedialità e dell’intertestualità, ecco che la frammentazione dell’offerta è un’altra realtà con cui fare i conti. E i giornali si sono adeguati, cercando talvolta forse piu’ i “numeri” che non il “numero” in sé.

2 commenti:

Unknown ha detto...

Molto interessante, ma sarà davvero così fondamentale trovare il titolo "attira-lettori"? Secondo me, chi acquista un quotidiano sceglie lo stesso da sempre e se lo tiene stretto a meno che non cambi la linea editoriale; si instaura un rapporto familiare basato più sulla stessa veduta di idee che sul sensazionalismo dei titoli(per gli scoop da copertina ci sono altri settimanali appositi). Forse, il discorso "titolatura" vale per i pochi indecisi dell'ultimo momento o per i nuovi lettori. Un po' come le campagne elettorali, insomma.
E poi, mi sa tanto di "corsa all'oro americana", tutta questa smania dei grandi numeri. Sono davvero stufa di questa visione delle cose.

Matteo ha detto...

Guarda, sono perfettamente d'accordo con te. Io il "titolo" nelle vestidi uno slogan pubblicitario con l'intento di vendere un articolo o, peggio, un giornale, la trovo una cosa indecente ma purtroppo è una delle logiche editoriali di oggi. In mezzo a una concorrenza spietata e che allarga i propri confini anche su internet, credo che i giornali si sentano quasi in dovere di pensare a tutto pur di attirare il lettore. Si, si sta seguendo l'america "negativa", dell'eccesso, della teatralizzazione e spettacolarizzazione. Anzi, della TABLOIDIZZAZIONE,e in questo caso si scade veramente. Eh, è interessante come libro. Comprendi come vengano allestiti i titoli e comprendi come spesso e volentieri certi professionisti scivolino su errorie sbagli veramente grossolani e insospettabili. Ormai viviamo in un centro commerciale, non nel mondo.