Una buona scuola - Richard Yates

martedì 14 luglio 2009


Zadie Smith lo definisce come AUTOBIOGRAPHICUS INFELIX SUBURBANUS, per sottolineare come sia uno scrittore che inserisce nei suoi romanzi molto materiale che rinvia a moltissimi elementi autobiografici. Questo sottolinea una volta di piu’, qualora ce ne fosse bisogno, quanto Yates sia un realista, anche se allo stesso tempo è un grandissimo romanzista. A cui non piace magari l’astrattezza, a cui non piace il lieto fine, specie se forzato e plastificato, ma ha scritto fin qui romanzi straordinari. In questo romanzo, anche in questo romanzo, si notano le peculiarità di Yates, che han creato addirittura una sorta di corrente letteraria Yatesiana, talmente è un autore che ha saputo cogliere la società con uno stile tutto suo e con un’occhio diverso dagli altri (forse perché, per l’appunto, la fortissima tendenza autobiografica che veste i suoi libri, incide parecchio sulla stesura del romanzo e per forza di cose chi ha provato sulla propria pelle certe esperienze, è una conseguenza del tutto naturale sfornare libri che trasmettono sensazioni e messaggi cosi’ forti, una sorta insomma di diario romanzato che non puo’ non colpire nel segno di chi legge). La location nel quale il libro prende vita e si sviluppa è la scuola, un luogo cruciale per un ragazzo, nel quale studia ma soprattutto cresce, ma che crea anche una certa confusione, nel senso che con le sue regole, che non possono essere trasgredite, costruisce un ideale di persona contro cui spesso ci si scontra. Il ragazzo spesso si scontra con cio’ che vorrebbe essere con cio’ che la scuola vuol far si che sia. E già qui si trova disagio e imbarazzo, tipico Yatesiano, che mette il ragazzo nelle condizioni di non saper come muoversi in un microcosmo complesso come la scuola, che dovrebbe formare, anziché trasformare. La scuola di cui parla Yates, è una scuola che punta molto sull’individualità ma in fin dei conti non fa altro che puntare su un conformismo che diventa una sorta di prigionia per la libera espressione dei ragazzi e combatte contro ogni forma di devianza (ad esempio l’omosessualità). I ragazzi vengono cosi’ esasperati. Lo sfondo è la seconda guerra mondiale. Momento storico di grandissima centralità nella storia mondiale che crea per forza di cose scompensi sociali devastanti. Malgrado cio’, pero’, in questo libro c’è piu’ intenzione da parte dell’autore, indagare le coscienze e farle parlare, anziché attingere a quella commiserazione, compatimento che ben vengono comunicati in altri suoi libri. La scuola sembra, solo in apparenza, un microcosmo racchiuso in una palla di vetro e completamente estraniata dalla realtà circostante. Se è vero che in qualche modo questa protezione fa si che almeno inizialmente i ragazzi non sentano la minaccia che proviene da lontano e che accellera sempre piu’ nella loro direzione, è pur vero che pero’ i problemi esistono anche nella palla di vetro e non sono evitabili. Anzi, forse si gonfiano ulteriormente. Ma sembra esserci comunque speranza in tutto questo, nonostante tutto, nonostante il dramma che incombe. Grove, che è piu’ che evidente un riflesso biografico letterario dell’autore, prima bersagliato come sfigato un po’ da tutti e poi pian piano e’ riuscito a trovare il suo riscatto attraverso il lavoro al giornale della scuola (e qui evidentissimi riferimenti anche alla vita dello stesso Yates, sono innegabili). Poi il professore che vive i tradimenti continui della moglie buttandosi sull’alcool, già menamato da un’indisponenza fisica persistente e frustrante che ne tocca inevitabilmente l’orgoglio ma che poi riusciranno a ritrovarsi e riuscire a dormire ancora dolcemente nel letto assieme. Con serenità, cosa impensabile, irraggiungibile e irrecuperabile ad un certo punto. Il dramma è inevitabile, e colpirà senza possibilità di appello, ma la claustrofobia che perseverava in altri libri Yatesiani, in questo non c’e’. C’e’ forse piu’ malinconia per i tempi che furono, uno sguardo al passato pieno di pensieri, anche di rimpianti da parte di Yates che sorride a Grove perché quel Grove era proprio lui da giovane. L’effimeratezza della vita è sempre presente, cosi’ come i momenti di serenità e di “tocco il cielo con un dito” vivono di rarità e di sfuggevolezza impressionante. La vita è cronicamente instabile, la vita è per sua stessa natura qualcosa di inafferrabile. La vita spesso crea disagi e sofferenze, anziché regalare occasioni e possibilità. L’obiettivo è sopravvivere e non vivere. Goderne i piaceri in maniera totale e per molto tempo, non è possibile. E’ pura illusione e astrattezza, cose in cui Yates non crede perché per lui queste sono falsità che fanno solo del male al lettore, che si auto convince di certe cose per poi provarne delle altre sulla propria pelle. Yates sembra chiedere: “Volete che vi racconti il mondo, dal mio punto di vista?” “Prendetelo per quello che è cio’ che vi circonda che vi documentero’ a partire da me stesso, con conseguenze annesse e connesse. Vivere non è esattamente come camminare su un tappetino rosso. Non è sculettare in passerella, non è una pacifica e lunga passeggiata sotto un viale alberato”. L’amicizia, l’amore, la voglia di crescere,l’alcool, le delusioni, il disagio adolescenziale, le aspirazioni che rimangono tali o che vengono realizzate, la competizione. Adulti e ragazzi, insegnanti e allievi, non sembrano due categorie cosi’ distinte. Ciascuno sembra avere gli stessi identici problemi che li attanagliano: cosi’, non si riesce piu’ a scindere l’adulto dall’adolescente. Tutto sfuma in un senso di inadeguatezza comune che rende tutti quanti uguali. Il prologo e l’epilogo sono una forma nuova in Yates, che mi ha un po’ spiazzato ma assolutamente una novità del tutto piacevole e che ho apprezzato particolarmente. Uno Yates piu’ intimo, piu’ malinconico, piu’ riflessivo, piu’ sentimentale.

1 commenti:

Era ora ha detto...

Ecco un sito che offre diverse citazioni di Yates, e di questo libro in particolare
Per esempio:
Ward si alzò e cominciò a misurare la stanza a grandi passi, ghermì il pacchetto delle sigarette, se ne ficcò una in bocca e la accese con furia mentre continuava a camminare.

“Le cose!”, esclamò. “Cristo, Grove, ti capita mai di arrivare al punto di non sopportare più le cose?... Tutte le stramaledette cose senza senso di questo mondo. Dovresti vedere la casa in cui vive la mia famiglia. Ah, è molto bella e molto grande e costa a mio padre uno strafottìo di soldi, ma io non riesco a fargli capire che è solo una cosa. Una cosa come un'altra. Hai anche solo un'idea di quello che voglio dire?”


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