American Psycho, un caso

lunedì 21 settembre 2009

Divertendomi a perdermi per le pagine di Anobii e in altri siti dove è possibile pubblicare un proprio commento, leggendo piu' commenti ad American Psycho, mi sono detto: ma è eccezionale quanta trasversalità di età di lettura ci sia e soprattutto quanta eterogeneità di giudizio possa esistere. Questo libro nasce con l'etichetta addosso del tipo "O lo si ama o lo si odia", come dire impossibile rimanerne indifferenti. E io ne sono totalmente d'accordo. Perchè risulta, almeno dal mio punto di vista, complicato pensare che un libro del genere non lasci nulla a chi legge. La spirale di violenza, quasi da splatter, del libro tocca sia colui che lo ha amato, sia colui che lo ha odiato. Per stabilire il perchè bisognerebbe domandarlo persona per persona. Ma risulta per me eccezionale, come per molti lettori questo non è un libro esclusivamente thriller, fatto di violenza, malattia mentale, cinismo con cui Patrick Bateman "battezza" le sue vittime, sulle quali scatena poi un accanimento animalesco. Si va e si legge oltre. Molto ben oltre a tal punto che il centro gravitazionale della chiave di lettura diventa in qualche modo la sfera psicologica e sociologia, che parte si dal personaggio ma che si estende poi a un'analisi globale su cio' che contamina la nostra società, su cio' che oggi vive quasi in ciascuno di noi. E' evidente che noi non reagiamo al minimo impulso andando in giro a divertirsi di sera ad ammazzare gente, questo no. Ma è indiscutibile il fatto che un po' tutti noi delle volte ci sentiamo un po' imprigionati e ostaggi dalle pressioni, da momenti di stress, da situazioni verso cui ci sentiamo poco lucidi e equilibrati. Di raptus, quelli piccoli si intende, di impulsi ne abbiamo a iosa. Rendersi conto e calcolare tutti i momenti in cui noi non agiamo pensando, sarebbe interessante come ricerca. E il risultato, sarebbe sorprendente: saremmo tutti dei piccoli Bateman Patrick. Leggere American Psycho è un'esperienza totalizzante, dopo la quale impaurisce anche la semplice azione meccanica, soprattutto la mattina, di affacciarsi allo specchio per prepararsi a uscire di casa. Questo perchè c'e' un altro punto da discutere: la doppia personalità. Bateman è una persona che di giorno porta una maschera, la sera tutt'altra personalità. Ed è secondo me un po' la rappresentazione perfetta della società in cui viviamo: irriconoscibile, camaleontica, temibile, continuamente trasformabile, doppiogiochista, senza una sua identità precisa.
Bateman ha tutto nella sua vità: bellezza, eleganza, soldi, cultura, un lavoro prestigioso, donne, macchine, è una personalità conosciuta a New York, conosce ogni tipo di marca, ogni ristorante, ha un gruppo di amici. E allora cos'è che gli manca? Cio' che lo destabilizza è il fatto di avere già tutto e di non poter aspirare a null'altro, perchè che altro c'e' a cui aspirare che lui già non abbia?
In realtà, dietro a tutto cio' io intravedo un'inevitabile, infinita solitudine del personaggio che oltre a materialismo, contatti interessati, rapporti superficiali, non ha nulla. Se stesso, con cui è in atto a mio modo di vedere una guerra intestina stancante, infinita, contro la quale è molto difficile combattere. figuriamoci, vincerla. Avrebbe bisogno di qualcuno che lo capisca. Ci sarebbe, la sua segretaria. Ma forse spesso le cose giuste e che son proprio sotto il tuo naso, chissà per quale ragione ma ti sfuggono. Forse il vortice della quotidianità ti aliena dalla realtà troppo spesso vissuta secondo le solite cadenze, orari, rituali. Un po' ci si riconosce in Patrick e non è poi cosi' impossibile anche in minima parte comprenderlo (senza giustificarlo ovviamente). Trova gratificazione o sfogo nell'annientare fisicamente gli altri, farli soffrire e partecipare da spettatore alle loro sofferenze. Un hobby, un divertimento, a cui non sa piu' rinunciare. Una macchina della morte insaziabile, che agisce meccanicamente. Anche li a un certo punto si stanca, non trova piu' quell'interesse iniziale, che lo eccitava. Ma gli risulta impossibile fermarsi. Il gioco a cui ha cominciato a giocare non è come gli altri.
Protagonista non è Bateman, ma è tutto cio' che lo circonda, che lo rende tale. L'esasperazione è provocata, non nasce da sola. Patrick si sente in perenne scontro frontale con chi lo ha reso un mostro e agisce, contro neppure lui sa chi, per uscirne da uno stato di prigionia di cui si sente ostaggio.
Ecco che allora io penso che chi legge questo libro, puo' scoprire momenti su cui è possibile riflettere e da cui è possibile trarre qualche piccola lezioncina. Io non credo che "lui è cosi', agisce e basta". Dietro a tutto, anche ai gesti piu' esecrabili e intollerabili, c'e' una molla che crea il caos. Non credo al "e' cosi' e basta". Troppo semplicistico pensarla in questa maniera. E anche pericoloso, se vogliamo, perchè snobbando le cause, far finta che non ci sia nulla che dia inizio a ogni cosa, è difficile poi combattere alla radice certi rischi sociali. Perchè si fa finta che non esistono, per l'appunto.
Ellis, con questo libro, ha saputo metterci frontalmente, faccia a faccia, con le nostre paure, ha in qualche modo voluto dirci che anche ognuno di noi potrebbe in un certo senso, diventare o già essere un Bateman. Chi lo sa. Provocazione? Confessionale? Puo' darsi. Ma davvero, a volte servirebbe di piu' avere paura piu' di noi stessi che degli altri.

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